6:06

Tekla Taidelli

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Leo ha ventisei anni e vive una vita in bianco e nero. Le sue giornate iniziano sempre alle 6:06, piene di lavori miserabili e una corsa senza fine per assicurarsi la sua prossima dose di droga. Ogni tentativo di cambiare, di fuggire, lo riporta sempre allo stesso punto: l'inizio. Poi arriva Jo-Jo. Ventenne, dura, enigmatica, parla solo francese e guida un caravan come se fosse l'unica cosa che la tiene in vita. Jo-Jo non è una salvezza facile, non è un'eroina, ma è il caos di cui Leo ha bisogno per spezzare il suo schema.
DATI TECNICI
Regia
Tekla Taidelli
Interpreti
Davide Valle, George Li Tourniaire, Roberto Sadhi Sersanti
Durata
90 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Tekla Taidelli, Edoardo Moghetti, Davide Valle
Fotografia
Tommaso Lusena De Sarmiento
Montaggio
Fabio Nunziata
Distribuzione
LSPG Popcorn
Nazionalità
Italia, Portogallo
Anno
2025

Presentazione e critica

Leo ha ventisei anni e vive una vita in bianco e nero. Le sue giornate iniziano sempre alle 6:06, piene di lavori miserabili e una corsa senza fine per assicurarsi la sua prossima dose di droga. Ogni tentativo di cambiare, di fuggire, lo riporta sempre allo stesso punto: l’inizio. Poi arriva Jo-Jo. Ventenne, dura, enigmatica, parla solo francese e guida un caravan come se fosse l’unica cosa che la tiene in vita. Jo-Jo non è una salvezza facile, non è un’eroina, ma è il caos di cui Leo ha bisogno per spezzare il suo schema.

Venti anni dopo la sua opera prima di culto, Fuori vena, Tekla Taidelli torna a occuparsi, senza moralismi ma con una straordinaria empatia, dei suoi personaggi perduti. Odora ancora una volta di indipendenza, di urgenza e di autenticità l’opera seconda di Tekla Taidelli che non si mette più in scena in prima persona, come nel suo esordio di culto di venti anni fa Fuori vena, ma che, con la collaborazione alla sceneggiatura di Edoardo Moghetti e dello stesso protagonista del film Davide Valle, costruisce una storia complessa di perdizione e di redenzione da cui traspare il suo amore totale e incondizionato per i personaggi. Tutto ruota attorno alle sostanze stupefacenti – qui è la cocaina la protagonista – che sono l’elemento regolatore della vita del protagonista Leo, interpretato da Davide Valle, uno dei pochi attori professionisti nel film della regista che ci tiene molto a sottolineare il suo lavoro con gli altri interpreti presi, come si usava dire un tempo, dalla strada.

6:06 inizia utilizzando il bianco e nero per accompagnare questo primo lungo segmento narrativo che ci introduce nella vita del protagonista stretto tra un lavoro di lavapiatti, la cura del suo cane Ayden e il rapporto solidale con l’amico Igor compagno anche di assunzione delle sostanze stupefacenti. Leo dunque si sveglia tutti le mattine all’ora del titolo, 6:06 appunto, e ogni giorno rivive la stessa giornata che ricomincia daccapo. La trovata narrativa richiama dispositivi filmici ormai classici, come Ricomincio da capo, ma, come il più recente È già ieri, ancora una volta sembra funzionare con la sospensione dell’incredulità dello spettatore. Qui poi la metafora è diretta e dichiarata, dunque non didascalica, e richiama il loop della vita in cui si ritrova ingabbiato il protagonista, riflesso esatto della dipendenza dalle sostanze stupefacenti.

Dopo un plot twist il film cambia bruscamente stile e torna il colore (ma l’alternanza viene mantenuta con una scelta stilistica azzardata – il montaggio è di Fabio Nunziata – con i riquadri picture in picture che, dalla posizione laterale, piano piano arrivano anche a sovrapporsi all’inquadratura principale), con cui l’autore della fotografia, Tommaso Lusena De Sarmiento, si diverte a giocare con un immaginario alla Harmony Korine soprattutto nelle parti sognanti. Tutto questo perché entra in scena quella che diventerà l’angelo custode del protagonista che si chiama Jo-Jo ed è interpretata da George Li Tourniaire, perfetta nel dare al personaggio la giusta dose di aspetto selvaggio e accogliente.

Attraverso di lei («Non ho mai provato qualcosa di così forte, tranne la droga», le dice Leo) la sceneggiatura può dare forma e sostanza al tema principale del film, che viene sempre dopo quello delle droghe (splendida una battuta del protagonista che non trova quelle giuste a una festa: «Voi non ve sapete droga’!»), ossia quello genitoriale – paterno e materno – e della sua mancanza. Il film è dedicato infatti a Giorgio “mio padre” e riflette l’idea di esistenze cadute in volo anche per mancanza di qualsiasi tipo di riferimento adulto. Di contro questo coming of age fuori tempo massimo (per l’età del protagonista) cerca di individuare un orizzonte se non di speranza, di normalità (qualsiasi cosa voglia dire), e di riscatto («Me sto a impegna’», urla il protagonista). Con un’altalena di alti e bassi, che segue quella reale di chi assume sostanze stupefacenti, e un futuro incerto visto dall’alto di una scogliera a picco sul mare.

 

Mymovies

Marijuana. Cocaina. Alcool. Pile di piatti da lavare. Il cane Ayden da accudire. Un amico con cui sballarsi la sera. I giorni del giovane Leo scorrono tutti uguali verso l’abisso. E iniziano tutti lunedì alle 6:06. Così, per uscire dall’incubo si fa investire da una macchina, finisce in coma, si risveglia e viene trascinato dall’enigmatica Jo-Jo in un viaggio in camper da Civitavecchia all’Oceano Atlantico.

Vent’anni dopo il piccolo cult indipendente Fuori vena – applaudito da Claudio Caligari e devoto al suo Amore tossico – Tekla Taidelli porta alle Notti Veneziane delle Giornate degli Autori un piccolo coming age concitato, palpitante, furioso, disperato e irredento. Basso budget ed alte ambizioni per un cinema indipendente e stradale che osa, sgomenta e convince, nonostante qualche falla strutturale. Una storia di più segmenti narrativi cementati dall’empito umanista, dalla smania di redimere gli emarginati, di rimettere in moto vite atomizzate: così il più classico drug movie di periferia in salsa thrilling cede il passo prima al frangente medical drama, e poi al road movie d’ amore ed espiazione. La bussola è La strada felliniana, ovviamente, ma la regista s’incammina verso i sentieri recentemente battuti dal nostro cinema che portano dalle parti dei primi D’innocenzo, alla Patagonia di Bozzelli, all’inquietudine giovanile di Marzullo.

Al centro della cinepresa finiscono questi due nipoti di Accattone senza rotte, certezze, padri, attanagliati dalla necessità di espiare una condizione esistenziale subita, chiamati a reagire al cupio dissolvi, alla predestinazione alla distruzione: l’uno orfano, l’altra con una famiglia dispersa e dilaniata. Leo smemorato, derelitto, paralizzato nel tempo, intrappolato nello spazio, devastato dalle dipendenze, Jo-Jo vitale, determinata, ma traumatizzata e fragilissima. Il passo a due di Davide Valle e Giorgia Li, contornati da semi-professionisti, funziona, così come l’esuberanza registica: al bianconero iperrealistico di Civitavecchia (scintilla L’odio nelle focali del fotografo Lusena De Sarmiento), segue la cinematografia sgargiante e acidula della road e love story. Il tutto intessuto da un montaggio sincopato e vorticoso, tra accelerazioni e sospensioni, tra split screen e frangenti da videoclip. Certo qualche pennellata (Taidelli scrive anche e co-produce il film) rimane fuori dal quadro, e nella foga espressiva salta in aria qualche gancio di verisimiglianza (può un ragazzo che soffre di tossicodipendenza, appena uscito dal coma, affrontare un viaggio intercontinentale? E sia pure, ma dove trova soldi, cibo, vestiti per viaggiare?).

Eppure, oltre le crepe strutturali, il crudo, rabbioso realismo di Taidelli esalta il talento grezzo della semi-debuttante George Li. L’attrice italo-francese classe 2001 infonde al suo personaggio disinvoltura, padronanza di sé, disarmata fragilità, enigmatica sensualità. Incanto e disperazione. (Con i copioni e i provini giusti) avrà futuro.

 

Cinematografo

(…) La regia è attenta e gli interpreti convincono, con una menzione speciale all’attrice francese che interpreta la giovane donna che accompagna il protagonista in un percorso di rinascita. Non si tratta semplicemente di recupero dalla droga, ma di una vera riabilitazione personale, un cammino verso la vita. La fotografia gioca un ruolo fondamentale: il bianco e nero rappresenta il passato doloroso, la malinconia e la dipendenza; il colore, invece, porta con sé la speranza, la sorpresa, il futuro possibile. Questa scelta stilistica amplifica l’impatto emotivo del film, trasformando un racconto semplice in una riflessione universale.

Leo, il protagonista, inizialmente non riesce nemmeno a comunicare con la ragazza francese. Lei continua a parlargli nella sua lingua, eppure a poco a poco trovano un modo per capirsi. È proprio in questa incomunicabilità che nasce la magia: la capacità di incontrarsi davvero anche quando le parole mancano. Il film rifiuta il pietismo. Non c’è retorica, non c’è compassione forzata: c’è invece la forza di un sorriso. “Sei più bello quando sorridi”, gli dice la ragazza. Ed è lì, in quel momento, che si ritrova il senso profondo di 6:06: la speranza, l’entusiasmo per la vita, la possibilità di un futuro diverso. Un’opera capace di trasformare piccole emozioni in grandi immagini, di partire dal nulla e di aprire un viaggio meraviglioso: quello che si chiama vita.

 

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