Giulio Bertelli

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Giochi Olimpici di Ludoj del 2024. Tre atlete si stanno allenando per partecipare alle gare nelle rispettive discipline. Si tratta di Alex Sokolov nel tiro a segno, Giovanna Falconetti nella scherma e Alice Bellandi nel judo. Devono sottoporsi a durissimi allenamenti fisici tra allenamenti in acqua, sollevamento pesi, corse sul tapis-roulant. Ma al tempo stesso, anche gestire lo stress e l’ansia della gara per reggere l’alto livello della competizione e la tensione della performance sportiva. Attraverso le loro figure, vengono messe a fuoco le contraddizioni di queste tre discipline sportive, nate in tempo di pace come allenamento per gli esercizi bellici e poi diventati sport professionistici.
“Questo film è un lavoro di fantasia ispirato a eventi accaduti nel 1982”. Inizia così sui titoli di coda la didascalia di Agon, debutto nella regia cinematografica di Giulio Bertelli che fonde tecniche di design nei dettagli delle parti del corpo umano, nell’attenzione alle geometrie e ai movimenti nello spazio e soprattutto nella rappresentazione della gara lontana dalle tensioni proprie del cinema sportivo ma invece più attenta a mostrare le tecniche (il cineasta è anche velista professionista) e la pressione soggettiva a cui le atlete sono sottoposte.
Nella ricostruzione di finzione però emergono dei frammenti di verità. Come in un documentario, ci sono dei materiali d’archivio, come quello dell’infortunio di Ronaldo durante Lazio-Inter in Coppa Italia del 2000. È quasi una sovrapposizione con il dolore fisico dell’operazione al ginocchio, ripresa all’inizio nel dettaglio, con il rumore del piegamento, un dolore che si avverte anche a livello sensoriale oltre che fisico. Ma è presente anche un altro momento fondamentale ricostruito che appartiene ad Alice Bellandi, nella scena in cui la campionessa di judo mangia patatine e beve bibite gassate mentre si sta riprendendo dall’infortunio; l’atleta infatti, in un’intervista di Luca Bertelli a “Il Corriere della Sera”, ha ammesso di aver sofferto di depressione e bulimia prima del lockdown e dopo le gare mangiava in maniera compulsiva anche se aveva la sensazione di vomitare. Agon segue traiettorie geometriche (le riprese dal basso della gara di scherma, le inquadrature della caccia), filma le atlete come corpi-macchine. La natura più, l’ispirazione storica per le figure delle tre atlete (Giovanna d’Arco, Cleopatra, l’ufficiale di cavalleria Nadezhda Durova) proprio per una visione del contemporaneo, s’intreccia a un cinema di forme, prospettive, che rimanda anche all’estetica dei videogiochi.
Visto e considerato che la città di Ludoj non esiste, non è possibile che nel 2024 vi si siano svolte le Olimpiadi estive, che per di più chiunque sa aver avuto luogo in quel di Parigi. Ludoj rimanda come assonanza a Lugoj, la cittadina rumena del Banato che fu luogo di nascita di Bela Blaskó, in arte Bela Lugosi; allo stesso tempo però fa venire in mente il “ludus”, vale a dire gioco in latino. E in fin dei conti di giocare si occupa Agon, l’opera prima per quel che concerne il lungometraggio portata a termine da Giulio Bertelli – figlio di Miuccia Prada – e presentata in concorso alla Settimana Internazionale della Critica di Venezia praticamente in contemporanea con la distribuzione in sala grazie a Mubi. Così come Ludoj deforma il termine “gioco”, allo stesso tempo Bertelli sceglie di indirizzare fin dal titolo la propria creatura: si tratterà anche di qualcosa di pallidamente ludico, ma ciò che conta è l’agone, la sfida innanzitutto con se stessi prima ancora che con l’avversario di turno. Strano oggetto all’interno delle dinamiche sempre più fruste della produzione cinematografica italiana, Agon segna la caustica rappresentazione di un universo sportivo che con quell’aggettivo – sportivo – ha oramai poco a che fare: per mettere in pratica la sua visione Bertelli si affida al racconto della preparazione alle suddette Olimpiadi del 2024 di tre atlete, vale a dire la schermitrice Giovanna Falconetti, la tiratrice a segno Alex Sokolov, e la judoka Alice Bellandi. Fin da questa scelta si evince la mossa da equilibrista del trentacinquenne cineasta milanese, che prende due attrici e le mette a confronto con una vera sportiva. Ecco dunque che Yile Vianello – già vista in Corpo celeste, Il paradiso del pavone, La chimera, Il vento soffia dove vuole e La bella estate – e Sofija Zobina, a sua volta ne La chimera, vestono con sufficiente credibilità i panni di Falconetti e Sokolov, ma Alice Bellandi non fa altro che interpretare se stessa, lei che nella sua categoria di peso del judo se n’è tornata da Parigi con una medaglia d’oro al collo.
Questo gioco tra reale e fittizio si arricchisce dunque di una nuova nuance, che Bertelli moltiplica poi attraverso la sua messa in scena, tra ridefinizioni del quadro cinematografico, rimandi a ogni dispositivo tecnologico possibile e immaginabile, un gusto per la reiterazione che diventa quasi “installativo”. Falconetti affronta una difficile serie di allenamenti, seguita passo passo dal suo coach; Sokolov ama andare a caccia, quasi a voler sublimare nel “vero” quel gesto ripetuto migliaia e migliaia di volte di alzare una carabina e tentare di centrare il bersaglio; Bellandi, infine, deve capire in quale modo superare l’infortunio che rischia di vanificare tutti i suoi sforzi propedeutici ai giorni olimpici. Sforzi che non sembrano più possedere alcun rimando ai principi di De Coubertin con cui pure Agon si apre: nessuna competizione leale, nessuno spirito di gruppo, nessuna eccellenza nella condivisione. Solo l’esercizio fisico, la preparazione millimetrica in solitaria, la ripetizione infinita di gesti e movimenti, in un solipsismo dell’atto che è allo stesso tempo esaltato visivamente e in qualche maniera messo in crisi proprio nella sua forma sempre più distante dallo sport inteso nella maniera classica – e su questa dualità sarebbe interessante sapere quanto si sia interrogato Bertelli. Un regista che ha una visione chiara della messa in scena, e che restituisce l’ossessione di tre giovani donne alle prese con la sfida più rilevante della loro esistenza ricorrendo a sua volta all’ossessione per l’immagine, per il lavorio della struttura, per la costruzione. Anche il cinema, parrebbe sostenere Bertelli, è il frutto di un infinito esercizio in solitaria che lavora sui particolari in modo ossessivo e ininterrotto. E Ludoj diventa una località sempre più fittizia…