Aragoste a Manhattan

Alonso Ruizpalacios

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Aragoste a Manhattan, il film diretto da Alonso Ruizpalacios, è ambientato nel retrobottega frenetico di The Grill, un caotico ristorante newyorkese affollato nei pressi di Times Square. Ogni giorno, all’ora di pranzo, la cucina esplode in un vortice di ordini urlati e ritmi insostenibili. Qui, tra pentole e richieste infinite, si incrociano le vite di cuochi, lavapiatti e camerieri venuti da ogni parte del mondo, ognuno con i propri sogni e le proprie ferite.
DATI TECNICI
Regia
Alonso Ruizpalacios
Interpreti
Raúl Briones, Rooney Mara, Anna Diaz, Motell Gyn Foster, Oded Fehr, John Pyper-Ferguson, Laura Gómez, James Waterston, Spenser Granese, Finnerty Steeves, Lee R. Sellars, Leo James Davis
Durata
139 min
Genere
Commedia
Sceneggiatura
Alonso Ruizpalacios
Fotografia
Juan Pablo Ramírez
Montaggio
Yibran Asuad
Musiche
Krano
Distribuzione
Teodora
Nazionalità
USA, Messico
Anno
2024

Presentazione e critica

The Grill è un ristorante nel cuore di New York dove i turisti si affollano per gustare le specialità del posto. In questo luogo confusionario si sviluppa la storia d’amore tra una cameriera americana, Julia, e un cuoco di origine messicana in attesa del visto, Pedro Quando Julia scopre di aspettare un figlio, Pedro la invita a considerare una strada alternativa all’aborto. La tensione sembra sul punto di esplodere quando il responsabile del ristorante decide di aprire una indagine interna riguardo alla sparizione di ottocento dollari.

Alonso Ruizpalacio rappresenta in modo realistico cosa significhi lavorare oltre la porta della cucina di un ristorante, raccogliendo attimi, suoni, volti, memorie di quando da studente aveva fatto esperienza a sua volta nella ristorazione. Un crocevia di vite, lingue, culture, anime che, come se fossero dannate, sono costrette a correre incessantemente, ingranaggi di una macchina che non può essere arrestata. Una cucina dove i dipendenti somigliano a operai di una fabbrica affollata costretti a lottare per il proprio spazio vitale. Eppure in questo luogo claustrofobico si accendono i sentimenti più nobili: compassione, carità, fratellanza. Cuochi e cameriere lottano con tutte le loro forze per superare lo stress e la pressione: giocano, scherzano, si offendono in tutte le lingue e soprattutto cantano nei momenti di massima difficoltà. Senza perdere mai la loro umanità.

I personaggi, caratterizzati magistralmente, portano con naturalezza e naturalismo questo luogo disumano sul grande schermo, imprigionando lo spettatore in una gabbia sonora. Un ambiente dove il tempo è scandito dalla stampante degli ordini: un macchinario che suona incessantemente, ricordando che nessuna perdita di tempo è ammessa, mentre i dipendenti sono ridotti a ingranaggi della macchina capitalistica, schiavi di un ritmo egemonico al quale sembra impossibile sottrarsi. Nel passare dalla cucina alla sala i rumori svaniscono, rimane solamente una musica classica, come a sottolineare la differenza tra i due mondi: l’inferno di grida e trambusto continuo versus il paradiso e la calma. Questa opposizione è segnalata anche dal passaggio della pellicola dal bianco e nero al colore, che avviene quando il ritmo forsennato momentaneamente si interrompe. La scelta del bianco e nero non toglie valore alle inquadrature ma arricchisce le immagini di significati e simboli. Ad esempio, in una delle sequenze finali gli scarti di cibo e farina sporcano il viso di Pedro facendolo somigliare a un martire ricoperto di sangue, destinato a cadere a terra dopo una rabbiosa via crucis autoinflitta. Un Christus Patiens con una corona di spaghetti.

La fotografia di Juan Pablo Ramirez colpisce per la bellezza delle inquadrature. Talvolta interrompe il flusso narrativo mostrando sfuggenti ritratti sospesi, vedute di spazi interni o esterni frutto di una meticolosa attenzione compositiva. Le inquadrature relative alle scene di dialogo sottolineano le difficoltà di comunicazione e l’incapacità di ascoltarsi. In alcuni primi piani alternati gli attori vengono spinti ai bordi del fotogramma; a volte le inquadrature vengono tagliate senza rispettare i raccordi di sguardo. Anche il formato dello schermo (1,33:1) sembra voler imprigionare lo spettatore; si espande soltanto quando i personaggi riescono a prendere una boccata d’aria. Ogni elemento filmico sembra finalizzato a determinare l’immedesimazione dello spettatore nei panni dei dipendenti del ristorante. Aragoste a Manhattan è un film che con ironia e leggerezza invita alla riflessione sulla società contemporanea, mettendo a nudo il sogno americano nella sua quotidiana disillusione. Il film del regista messicano assomiglia a un menù completo: intriso di commedia, avvolto nella tragedia, imbevuto di impegno politico: un’esperienza cinematografica che si gusta con piacere come un piatto raffinato che lascia un desiderio intenso di rivederlo e riassaporarlo.

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