Steven Soderbergh

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Se c’è un esempio virtuoso sul come fare cinema sostenibile al di fuori del circuito hollywoodiano, di qualità e mai banale, bisogna guardare per forza alla filmografia di Steven Soderbergh. La sua ormai lunga produzione ci restituisce un autore colto e un tecnico sopraffino, grande conoscitore del cinema classico e allo stesso tempo appassionato e instancabile sperimentatore. Un nome che, pur avendo dei punti fissi tematici, utilizza il cinema in lungo e in largo, spaziando tra generi e immaginari.
La sua ultima fatica, Black Bag: Doppio gioco si posiziona in un sacro spazio celato tra le spy story classiche alla James Bond (e non solo per la presenza di un mefistofelico Pierce Brosnan) e, soprattutto, i thriller hitchcockiani. Mai nessuno come il cineasta londinese è riuscito a far dialogare il mondo dello spionaggio internazionale, in cui si parla il linguaggio geopolitico, e quello della camera da letto, in cui si parla quello relazionale. Soderbergh non fa mai mistero di questo link, anzi, lui e David Koepp ci costruiscono intorno il loro (perfetto) impianto filmico. Una trovata già esplorata da un certo Simon Kinberg, che scrisse un film alle cui riprese partecipò Brad Pitt nello stesso periodo in cui era impegnato a lavorare con Soderbergh a Ocean’s Twelve. Magari una connessione ci sta.
Stavolta i protagonisti non sono i coniugi Smith, ma sono George, un “addentatore” professionista che odia i bugiardi, e Kathryn, sua moglie, una femme fatale imperscrutabile quanto suo marito. E non che lui sia proprio facile da leggere, celato dietro i riflessi delle spesse lenti dei suoi occhiali. Entrambi sono membri del Secret Intelligence Service (SIS), l’agenzia di spionaggio per l’estero del Regno Unito, in un momento internazionale (il nostro) non proprio sereno.
Il nostro punto di vista sulla storia è quello di Michael, che ci introduce al film attraverso un piano sequenza che lo segue fino al luogo all’annuncio di ciò che scuote il suo animo, che non è tanto il fatto che l’incarico assegnatogli dal suo superiore sia quello di scovare la talpa che ha rubato il progetto Severus (una versione simil-realistica di software top secret da fine del mondo), ma che quella talpa potrebbe essere proprio la sua Kathryn.Ecco allora, chiara e limpida, la linea hitchcockiana: il nostro si ritroverà a dover cominciare un’indagine non solo all’interno del suo luogo di lavoro (per lui coincidente ad un luogo dell’anima), ma anche all’interno del suo matrimonio. Due livelli che per coesistere sono vivere l’uno in simbiosi dell’altro, attraverso una sacra formula che, se alterata, potrebbe far saltare il banco, portando alla dissoluzione dell’uno o dell’altro. O di tutti e due, perché no. Trattasi di un equilibrio così precario che nessuno dei loro colleghi riesce a emularlo, come Soderbergh ci mostra con la scena della cena, primo tassello dell’indagine di George.
Ancora una volta la dimensione lavorativa e quella domestica si sovrappongono, creando una sintesi perfetta che permette al film di fare della sua forma anche contenuto e, con questa scusa, presentandoci il resto del cast composto da Marisa Abela, Tom Burke, Naomie Harris e Regé-Jean Page, quattro personaggi e altre due coppie, esempi contrapposti rispetto a quella protagonista. Seduti a tavola le logiche dell’intreccio, le tensioni degli ingranaggi, le maschere, i silenzi, gli scatti d’ira, i click nervosi, ma anche gli sguardi d’intesa e gli slanci protettivi potrebbero appartenere alla vita relazionale dei convitati oppure all’intrigo internazionale di cui sono i principali attori sospettati.
La ricerca della verità è ciò che ha mosso sempre lo sguardo di Soderbergh, soprattutto quando riguarda le sfere relazionali, dove essa ha un costo (e quindi un valore) incredibilmente più alto rispetto a qualsiasi altro contesto, persino quello che può cambiare i destini dei Paesi. Capire come essa si evolve attraverso i nuovi linguaggi è quello che gli è sempre interessato fin da Sesso, bugie e videotapes, fino ad arrivare agli ultimi lavori, da No Sudden Move a Presence.
Rispetto ai titoli citati l’idea strutturale di Black Bag: Doppio Gioco è quella di avvicinarsi più al cinema d’intrattenimento che alla solita dimensione indie o, andando ancora più indietro, al primo cinema del regista cinema americano nato sull’onda lunga della nouvelle vague. Lo stesso che parlava un linguaggio lontano dagli standard classici, usando sempre la luce naturale, occupandosi principalmente della descrizione antropologica nelle atmosfere urbane e sperimentando continuamente con le tecniche di ripresa.
Qui siamo più dalla parte del blockbuster autoriale, elegante e irreprensibile, logico, liscio e raffinato. Ce lo dice innanzitutto la scelta del cast e come il regista lo impiega. Soprattutto nel caso di un Michael Fassbender di fincheriana memoria, sempre posato, gelido e instancabile, ma che aggancia il pubblico per la sua tendenza a cedere e a fallire. Soderbergh lo riprende con una perizia incredibile, cercando, con insistiti close up e ripetizioni in montaggio, delle inclinazione espressive del suo viso per creare i riferimenti geografici di una narrazione che sottopelle lavora con una tensione incessante.Cosa accadrebbe se la logicità che tiene in vita il lavoro dei protagonisti e quindi anche il loro matrimonio dovesse venire meno? Se questa equazione che tiene collegati i due aspetti sacri delle loro esistenze non funzionasse più? Se la comunicazione tra i due mondi venisse interrotta da delle “Dark Windows”, così da non permettere più la trasparenza che tiene tutti i fattori insieme? Per dirla in modo banale: se la nostra coppia non riuscisse più a vederci chiaro tanto nel loro lavoro quanto nel loro matrimonio? Che accadrebbe?