Philip Delaquis, Barbara Miller, Manuel Bauer

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Da ormai sessant’anni ospite del governo indiano (ma lui si definisce “rifugiato”, come gli 80.000 tibetani costretti a fuggire nel 1959, in seguito all’invasione cinese) il Dalai Lama a 90 anni continua a dispensare saggezza al mondo. Realizzato proprio in occasione delle celebrazioni per il suo novantesimo compleanno (che cadeva il 6 luglio scorso), il documentario Dalai Lama – La saggezza della felicità può essere considerato il testamento spirituale di uno degli uomini più carismatici dei nostri tempi. Nonostante il documentario sia ricchissimo di immagini e filmati d’archivio inediti, il fulcro resta il 14mo Dalai Lama e leader spirituale Tenzin Gyatso che si rivolgere direttamente a tutti noi guardando in camera, seduto su una sedia su uno sfondo nero che esalta il suo volto dallo sguardo vitale e l’inconfondibile tunica color rosso mattone e giallo zafferano. Quella che fa il Dalai Lama non è altro che offrire consigli pratici per affrontare paure, angosce e rabbia, individuali e collettive, private e pubbliche, insomma per fronteggiare con la meditazione quelle che chiamiamo comunemente le sfide del XXI secolo. Un secolo che “non sarà facile”, dice il Dalai Lama. Guerre, emergenze climatiche, odio diffuso, violenza, muri eretti per respingere e reprimere, tutto questo rientra nelle parole del Dalai Lama nel documentario. “Non parlo di Dio o della vita ultraterrena, ma di quella che viviamo ora”, dice nella premessa, “e il mio impegno è quello di provare a condividere l’antica sapienza su come sviluppare la “peace of mind”, la tranquillità d’animo.
C’è una figura primaria e fondamentale che la massima guida spirituale del buddismo tibetano mette al centro del suo discorso, quello della madre. Che non costituisce soltanto la base per la costruzione della propria identità e della capacità di relazionarsi con il mondo esterno ma, secondo il Dalai Lama, “la vera insegnante dell’empatia, della compassione”. Il Dalai ricorda la sua, che gli ha insegnato a guardarsi dentro, una contadina senza la minima cultura che si è ritrovata madre del bambino “prescelto”, in cui si era reincarnato il tredicesimo Dalai Lama. Un bambino riluttante, per niente interessato al buddismo, e che il tutore puniva con il “sacro frustino”. Questi sono i momenti più emozionati del documentario (corredati da belle immagini d’epoca) assieme al racconto della persecuzione del suo popolo. A 16 anni l’invasione cinese, il tradimento di Mao che lui considerava come un padre, nessuna alternativa se non fuggire, mentre continuavano uccisioni arresti e torture, il genocidio culturale. “Non vogliamo l’indipendenza dalla Cina,” – dice verso la fine del film, forse lanciando un ultimo messaggio ai leader del ‘nuovo corso’ – “solo mantenere la nostra cultura e identità”.
Con profondità e mantenendo allo stesso tempo una leggerezza encomiabile e un tocco di ironia, il Dalai Lama affronta uno per uno i grandi temi. Lo stress, la fretta e la competizione che ci impediscono di fermarci a meditare; le barriere e le guerre, soprattutto quelle religiose, “in cui nessuno vince”; la scienza che, come la tradizione tibetana, ha un approccio logico e non significa credere o avere fede; le donne, che hanno più senso dell’attenzione per il benessere degli altri; la protezione della natura, per la quale bisogna lavorare tutti assieme, ogni giorno. Il Dalai Lama non resta sulla teoria, ma invita a concentrarsi sulla respirazione, esercitare la mente, controllare le emozioni e cercare la chiarezza. Potrebbe sembrare una lezione di yoga su Youtube ma in un mondo di logica binaria e “odiocrazia”, sono le uniche parole sagge da dire. La compassione è “il fattore chiave”. L’unica strada possibile è occuparsi l’uno dell’altro.
Il 14° Dalai Lama espone la propria visione del mondo proponendo delle modalità individuali per renderlo migliore. Le sue riflessioni affrontano il suo passato individuale sin dall’infanzia e. al contempo, si riferiscono al presente e al futuro. La sua presenza in primo piano si alterna con immagini di archivio e video o fotografie realizzate specificamente per il documentario.
Le strategie per non perdere la speranza in un mondo che sembra voler correre verso il baratro esposte da uno dei più importanti leader spirituali.
Questo documentario di Miller, Delaquis e Bauer non è certo il primo dedicato al Dalai Lama ma ha una sua originalità che proviene dal fatto che, per tutta la sua durata, la persona e la voce della guida spirituale di centinaia di milioni di persone nel mondo continuano ad accompagnare lo spettatore. Vediamo Lhamo Dondrub (questo è il suo nome alla nascita) prendere posto in studio, farsi mettere il microfono ed iniziare ad esporre la sua visione del mondo. Veniamo così informati a proposito della sua infanzia e del particolare attaccamento alla madre. Ampio spazio viene dedicato all’invasione e sottomissione del Tibet da parte dei cinesi per poi passare alle proposte per trovare soluzioni innanzitutto interiori (quindi personali) ai problemi che individua con grande precisione.
Il Dalai Lama, che vive in India sotto protezione in qualità di rifugiato, torna con insistenza sul tema della compassione intesa non come pietismo (più o meno veritiero) ma come capacità di comprendere l’altro superando la divisione tra i ‘noi’ e i ‘loro’. Lo fa partendo dal principio universale e cristiano dell’autostima (“Ama il prossimo tuo come stesso”) suggerendo anche alcune tecniche per facilitare questo percorso.
Il suo invito alla non violenza è costante ma non ci viene nascosto che il personale che opera nel servizio di sicurezza che vigila in prossimità della sua abitazione è dotato di fucili mitragliatori di modernissima fattura. Il Dalai Lama non nasconde le possibili contraddizioni ma propone, a partire da se stesso, strategie per riuscire a superarle.
Se un appunto si può fare a questa comunque interessante opera origina dalla scelta delle immagini che accompagnano le riflessioni del protagonista. Ci sono brevi sequenze che provengono dal passato che ci mostrano le violente azioni di repressione compiute dai cinesi sui tibetani ma anche il contesto familiare e sociale in cui il Dalai Lama è cresciuto. Quelle che pretendono di illustrare il suo pensiero sul mondo e le possibili tecniche per progredire sulla via della speranza nonostante tutto, sono a volte un po’ troppo ricercate o costruite ad hoc aderendo ad una ricerca della spettacolarizzazione che contrasta un po’ con la essenzialità dell’eloquio del Dalai Lama.
Cosa significa davvero essere felici? È la domanda che guida DALAI LAMA – La saggezza della felicità. Un viaggio straordinario nel pensiero del 14° Dalai Lama, Tenzin Gyatso, che con il suo stile unico e il suo disarmante senso dell’umorismo accompagna lo spettatore in un percorso intimo e trasformativo. Il film, firmato da Barbara Miller, Philip Delaquis, con Oren Moverman e Richard Gere come produttori esecutivi, si propone come lo straordinario testamento spirituale di una delle figure più carismatiche del nostro tempo. Attraverso immagini contemplative e materiali d’archivio inediti, il documentario mostra come la felicità non sia un traguardo lontano, ma qualcosa che nasce dentro ciascuno di noi.
In un mondo segnato da guerre, violenza e crisi ambientale, il messaggio del Dalai Lama diventa più che mai attuale: coltivare una compassione autentica e incondizionata è l’unico modo per costruire una società più pacifica, sana e prospera per tutti. La saggezza della felicità è dunque molto più di un film: è un invito a fermarsi, riflettere e riscoprire la semplicità di un sentimento universale, che può ancora cambiare il nostro presente e il nostro futuro.
