Gli uccelli del monte Qaf

Morteza Ahmadvand, Firouzeh Khosrovani

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Maryam è una giovane iraniana, dopo la rivoluzione del 1979 è emigrata ad appena vent’anni superando il confine turco nascosta in pelli di pecora, in direzione Stati Uniti. Così la sua famiglia è rimasta lì confinata nella sua terra, negli atti quotidiani ripetitivi, come ricordo lontano, come immagine sbiadita di una memoria a cui non poter più aggiungere nulla, nemmeno il minimo significato emotivo.
DATI TECNICI
Regia
Morteza Ahmadvand, Firouzeh Khosrovani
Interpreti
Yile Vianello, Alice Bellandi, Sofjia Zobina, Michela Cescon, Francesco Acquaroli, Chiara Caselli
Durata
80 min
Genere
Documentario
Sceneggiatura
Firouzeh Khosrovani, Morteza Ahmadvand
Fotografia
Mohamad Hadadi
Montaggio
Solmaz Eftekhari
Musiche
Christophe Rezai
Distribuzione
ZaLab [Italia]
Nazionalità
Iran, Norvegia, Italia
Anno
2025

Presentazione e critica

Ci sono case che diventano archivi viventi: mura che respirano con chi le abita, corridoi che trattengono voci e silenzi, finestre che ricordano ciò che hanno visto passare. In Past Future Continuous, seconda regia di Firouzeh Khosrovani (affiancata da Morteza Ahmadvand), la casa dell’infanzia diventa il vero personaggio del film: fragile, ostinata, in procinto di scomparire sotto i colpi di un’autostrada che avanza. Maryam, costretta a fuggire dall’Iran a soli diciassette anni, nascosta in una pelle di pecora attraverso il confine con la Turchia, oggi vive a San Francisco. Ha lasciato la famiglia per salvarsi, ma non ha mai smesso di tornare indietro: il legame è custodito nello schermo di un computer, grazie alle telecamere che i vecchi amici hanno installato nella casa di Teheran. È così che osserva i genitori anziani che abitano una parte sempre più ridotta dell’edificio, è così che si riconnette a un passato che non vuole dissolversi. Finché internet funziona, le immagini scorrono, tremolanti: un filo che lega l’esilio al ricordo. Quando la connessione cade, resta il vuoto.

Khosrovani, già autrice del pluripremiato Radiograph of a Family, intreccia di nuovo memoria personale e storia politica. Qui il dispositivo tecnologico – la sorveglianza domestica che si fa cinema – è l’innesco di un racconto sospeso tra l’intimità e la Storia, tra la fragilità del tempo e l’ostinazione di chi non vuole abbandonare il proprio archivio di affetti. La voce maschile della casa, scelta sorprendente, dà corpo al luogo stesso, rendendolo soggetto narrante e custode di memoria. Un’idea rischiosa, che apre spazi lirici ma rischia anche di spaesare, come rivelano gli inciampi linguistici dei sottotitoli, dove il genere viene costantemente frainteso.

Visivamente, il film alterna la dimensione granulosa delle videocamere di sorveglianza alla fotografia più poetica di Mohammad Hadadi, creando un dialogo continuo tra l’occhio impersonale della tecnologia e quello intimo del cinema. Le musiche di Christophe Rezai, unite al sound design di Ensieh Maleki, amplificano questa tensione tra distanza e presenza, tra assenza e resistenza.C’è in Past Future Continuous un nucleo potente: la volontà di raccontare l’esilio non come condizione astratta ma come relazione concreta con i luoghi che non possiamo più abitare, e che pure non ci lasciano andare. La casa diventa metafora di una memoria che insiste, che rifiuta lo sradicamento. In questo senso, il film si inserisce nel solco di quella tradizione del documentario iraniano che sa fare della materia privata un gesto politico.(…)

 

Cinematografo

Una voce osserva la pioggia scivolare sul vetro. Oltre la finestra, il monte QAF emerge come un fantasma. È un’immagine sospesa, intrisa di blu, che diventa subito stato d’animo: malinconia, distanza, memoria. Past Future Continuous – Gli uccelli del monte QAF, presentato alla Giornata degli Autori di Venezia, si apre con questa atmosfera e da lì non ne esce più. È un film che vive in bilico tra l’intimità di un diario e la potenza visiva di un saggio cinematografico, capace di trasformare la nostalgia in linguaggio.

Nel 1979, l’anno della rivoluzione iraniana, Maryam, appena ventenne, fugge dall’Iran per salvarsi. Attraversa le montagne che separano il Paese dalla Turchia, nascosta sotto una pelle di pecora, confondendosi tra un gregge. Da lì raggiunge l’America. Ma la distanza geografica non cancella i legami emotivi: Maryam resta ancorata alla casa dei genitori, che osserva da lontano grazie ad una rete di telecamere di sorveglianza installate negli ultimi anni.L’intero film si costruisce su questa tensione: vicinanza e lontananza, presenza e assenza, memoria e tecnologia. Lo spettatore guarda attraverso gli stessi occhi di Maryam, condivide immagini distorte dai grandangoli, spazi schiacciati e stanze immobili. Ma ogni volta che la connessione cade, il contatto si interrompe e Maryam si ritrova nuovamente altrove, senza accesso alle sue origini. È una vicinanza illusoria che rende la distanza ancora più insopportabile.(…)

Uno degli elementi più potenti del film è il suo doppio registro visivo. Da un lato, ci sono le immagini fredde e impersonali delle telecamere, che sorvegliano ogni stanza e persino il vicolo esterno. Dall’altro, affiorano frammenti d’archivio e ricordi che riportano lo spettatore anche negli anni Ottanta, quando la guerra tra Iran e Iraq sconvolgeva il Paese e le notizie arrivavano, sempre troppo tardi. Questo alternarsi tra presente e passato diventa un flusso continuo, quasi onirico, in cui la memoria rompe la rigidità delle telecamere, ma non restituisce mai un vero ritorno. Maryam guarda il passato come se fosse dietro un vetro, e il presente dei genitori come se fosse fuori portata, a dodici ore di fuso orario di distanza. Qui il parallelismo con Vortex di Gaspar Noé diventa evidente: come nel film francese, anche qui la regia frammenta lo spazio, sovrapponendo due fotogrammi per mostrare vite che scorrono parallelamente. Ma mentre Noé esplora la dissoluzione della coppia e della memoria, Ahmadvand e Khosrovani usano questa tecnica per tenere unita, almeno nel ricordo, una famiglia che la geografia ha separato. Entrambi utilizzano la frammentazione visiva per rappresentare vite separate. Non è un confronto freddo, ma un tentativo disperato di ricomporre un’unità immaginaria. Come ad esempio quando i due fotogrammi dei genitori, che dormono in letti separati finalmente si incontrano grazie al testo filmico.

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