Michail Lokšin

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Mosca anni ’30, sotto il regime di Stalin. Il Maestro, uno scrittore di talento, si trova ricoverato in una clinica dove è sottoposto a trattamento forzato. Un anno prima la sua pièce teatrale, “Pilato”, è stata bollata come opera reazionaria e censurata. La sua carriera è distrutta. È emarginato nell’ambiente, gli viene revocata la tessera degli scrittori e gli restano pochissimi legami. L’incontro con Margherita, una donna sposata che lo ha subito folgorato, gli ridà quella carica creativa per un nuovo romanzo dove Mosca è visitata dal diavolo, Woland, una figura inquietante che gli è apparso come un enigmatico turista tedesco ed è accompagnato dai suoi servitori. Da questo momento non c’è più nessun confine tra realtà e immaginazione. La mente del Maestro è sempre più dipendente dalla figura di Woland che diventa il suo interlocutore. Nel frattempo, la sua salute mentale peggiora.
Non è l’adattamento del libro di Michail Bulgakov. O almeno non solo. In questa nuova versione di Il Maestro e Margherita, il cinema entra nel mondo nel romanzo, attraversa le diverse linee temporali, i confini sempre meno netti tra realtà e immaginazione e soprattutto privilegia lo sguardo del Maestro e di Woland, visioni soggettive contrapposte ma anche complementari. I loro personaggi portati rispettivamente sullo schermo da Evgeniy Tsyganov e August Diehl (attore tedesco che è stato diretto, tra gli altri, da Tarantino, Malick e Zemeckis) sono come quelli di due cineasti che mettono in scena la loro versione del romanzo. Con la sola differenza che, rispetto al regista, non fanno parte soltanto della storia ma ne sono completamente immersi. È un po’ lo stesso tipo di sdoppiamento che c’è stato tra Bulgakov e il Maestro. Il protagonista appare come un continuo riflesso dello scrittore, che ha avuto spesso problemi con la censura sovietica ed è stato isolato nel suo ambiente letterario.
In più nel film c’è la faticosa gestazione della scrittura, la stessa che ha caratterizzato la stesura del romanzo da parte di Bulgakov che lo ha iniziato nel 1928 al 1940 (anno della sua morte) ed è stato pubblicato postumo per la prima volta dalla vedova tra il 1966 e il 1967 in una rivista di Mosca ma con i tagli della censura. La prima versione integrale, dove erano incluse anche le parti rimosse, è uscita a Francoforte nel 1969 e da quel momento è stato tradotto in tutto il mondo. Delle diverse trasposizioni cinematografiche, tra cui quella più celebre è del 1972 diretta dal regista serbo Aleksandar Petrovic con Ugo Tognazzi nel ruolo del Maestro e Mimsy Farmer in quello di Margherita, questa è oggi quella più politica, legata al ruolo degli artisti nella Russia di Putin. In più, alcuni temi come quelli della censura, del potere e il legame tra paura e libertà sono di stretta attualità. È ambientato negli anni ’30 ma è come se si svolgesse nel presente. Il Maestro e Margherita, inoltre, sarebbe dovuto uscire nel 2022 ma poi è stato posticipato dopo la decisione della Universal di abbandonare i progetti russi in seguito all’invasione dell’Ucraina. Ha avuto delle pressioni da parte della censura, è stato attaccato dai propagandisti russi che lo hanno accusato di essere critico nei confronti della guerra in Ucraina, ma in sala ha sbancato al botteghino diventando uno dei maggiori successi commerciali degli ultimi anni nel proprio paese. Uno dei meriti maggiori del film è di aver abbandonato ogni tentazione illustrativa. L’oscurità della Russia degli anni ’30 è già una discesa nelle tenebre. L’inizio sui titoli di testa con il martello che si muove da solo, i cassetti che si aprono e le tende che si muovono, ha le forme di una ghost-story. Il maestro e margherita è un film di fantasmi, di improvvise apparizioni (ogni volta che Woland entra in azione), che pone sempre dei dubbi che quello che sta avvenendo sia vero, come la passionale storia d’amore con Margherita che potrebbe essere solo un lunghissimo sogno. Allucinato, misterico, allegorico, è segnato da una potenza visiva imponente come nella sequenza del musical, il primo incontro tra il Maestro e Margherita e il volo finale della donna, come un angelo che si dissolve e vola sopra la città. Al secondo lungometraggio, Mikhail Lockshin mantiene la stessa impostazione letteraria e fiabesca di Pattini d’argento, ma stavolta punta più in alto. La visione del cinema, grandiosa, somiglia a quella di Brady Corbet di The Brutalist. Potrà apparire esagerato, ma non si pone limiti. Ed è questo che lo rende imponente, sovraccarico, ma con una bellezza senza tempo.
Il Maestro e Margherita è l’adattamento del capolavoro russo di Michail Bulgakov, tra i romanzi più letti del ventesimo secolo, iniziato nel 1928 e finito di scrivere nel 1940, pochi giorni prima la prematura e misteriosa scomparsa dello scrittore. È rimasto inedito al pubblico internazionale fino al 1966, senza dispensare diversi tagli all’opera originale (in Italia fu pubblicato integralmente da Einaudi agli inizi del 1967). Il Maestro e Margherita è ambientato negli anni ’30 nella Mosca staliniana ed è ancora oggi fonte di ispirazione imprescindibile per artisti di ogni forma espressiva, dai musicisti agli scrittori, dai pittori ai registi cinematografici e teatrali. Non c’è dubbio che Michael Lockshin abbia utilizzato passaggi fondamentali della biografia di Bulgakov per poter creare una sorta di base portante per l’intera rielaborazione filmica. A tratti particolarmente convincente, riesce a difendere quella sontuosità mistica sciorinata in ogni pagina, provando a tenere inalterato il potere sovversivo ed immaginifico del testo letterario. Intanto, nonostante l’uscita del film sia stata più volte rimandata, con la censura a segnalare il taglio di alcune scene, Il Maestro e Margherita rappresenterebbe uno dei film con il maggiore incasso di sempre in Russia. Ma esiste davvero il diavolo? Esistono le sue metamorfosi, le sue improvvise apparizioni e sparizioni? No, niente di tutto questo, il diavolo non esiste. Eppure il diavolo esiste, con varie facce, anche nelle favole, come potrebbe essere considerata questa storia. Margherita, bellissima, occhi verdi, è innamorata del Maestro, lo scrittore perseguitato e destinato al manicomio, che ha buttato nella stufa il suo manoscritto, perché nessun critico lo accetterebbe, nessun editore vorrebbe pubblicarlo. Questo suo romanzo, con protagonisti Gesù e Pilato, è la macro cellula narrativa che con tecnica indiziaria insegne per scindere e ricomporre, in un flusso inarrestabile, realtà e finzione. In toni di assoluta normalità, tanto più avvincente, quanto più si susseguono momenti di allegria che trapassano l’orrore e il satanismo che cede il passo al grottesco, al comico. Il diavolo è Woland, ironico, raffinato, poliglotta, che si presenta dicendo di aver appena lasciato la Germania e di trovarsi di fianco a Ponzio Pilato, quando si lavò le mani. Ama il gioco e la leggerezza, i lavori sporchi li lascia ai suoi diavoletti, una ciurma che somiglia tanto ad un’anomala e beffarda sezione di servizi segreti deviati. A tal proposito, bella la parte in cui la banda di diavoletti prende possesso di uno spettacolo teatrale di regime, a cui assistono anche il Maestro e Woland, in cui si scatena il lato oscuro della comicità e il Joker di turno sembra uscire da dietro le quinte per avvisare il pubblico di un pericolo imminente.
È vero o è uno scherzo? È questo il destino comune del mondo intero? Perire così, tra l’esultanza generale degli spiritosi, che crederanno ancora si tratti di uno scherzo. Anche Margherita vola come una strega a cavallo di una scopa, armata di martello, per vendicarsi di quel critico che ha denunciato il suo amante, percorrendo tutta la città e violando, senza timore, tutti i siti propagandistici, dislocati lungo il suo percorso. Oltre i riferimenti cinematografici più chiari ed evidenti, che oscillano tra alcuni aspetti del formalismo sovietico e l’espansione più prettamente hollywoodiana, non può mancare, come in Bulgakov d’altronde, tanto Marc Chagall. Saltella ed occhieggia nella planimetria moscovita, nella figurazione di eventi sospesi e meravigliosi, vedi la scena in cui il corpo di Margherita, invisibile e sospeso, si mostra nei sui lineamenti, avvolto in un velo. Queste figurazioni sono il contrappunto arioso al peso opprimente della repressione. La storia d’amore si mescola con la critica politica, la satira e la favola spirituale. È questa la forza inarrestabile della scrittura di Bulgakov che certamente risulterebbe impossibile catturare sul grande schermo, ma il regista mostra l’audacia necessaria per muoversi tra toni e generi diversi, lasciando la sensazione di aver compiuto comunque un buon lavoro.
