Pascal Bonitzer

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Un giorno André Masson, un esperto d’arte che lavora come banditore della celebre casa d’aste Scottie’s, riceve una lettera in cui gli viene comunicato il ritrovamento di “I girasoli”, un dipinto di Egon Schiele, scomparso dal 1939 dopo essere stato saccheggiato dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Si trova nell’abitazione di Martin, un giovane operaio chimico che abita a Mulhouse, nell’Est della Francia. Piuttosto scettico sulla sua autenticità, André si reca comunque sul posto per esaminare il quadro assieme a Bertina, sua collega ed ex-moglie per valutarlo e, dopo un’attenta analisi, scopre che si tratta dell’originale. Da questo momento la sua carriera può decollare definitivamente ma ci sono alcuni eventi che invece possono metterla in crisi. André punta ad avere per il dipinto il miglior prezzo possibile ma un potenziale acquirente gioca al ribasso. Potrà contare però sull’aiuto decisivo di Aurore, una stagista dal comportamento ambiguo con cui ha un rapporto conflittuale.
L’inganno dell’arte. Si muove lungo la dialettica tra vero e falso il film di Pascal Bonitzer, ispirato a un’incredibile storia realmente accaduta e il cui titolo rende dichiaratamente omaggio a L’hypothèse du tableau volé di Raúl Ruiz. Non c’è l’unità di luogo del film del cineasta cileno che si svolgeva all’interno di una casa borghese, ma si avverte la sua stessa natura thriller, lì evidenziata dalla scomparsa di uno dei sette dipinti di Frédéric Tonnerre. Non c’è il quadro al centro della scena né il carattere illusionista/magico di Welles di F for Fake. Ma è indubbio che “I girasoli” di Schiele sia il vero protagonista nascosto di Il quadro rubato. Prima c’è la sua tenue luce che comunque illumina la parete in cui è appeso. Poi rivela gradualmente la sua identità, prima la sua autenticità e poi il suo valore. Attorno al dipinto si muovono i destini dei protagonisti, da André Masson sempre sul filo dell’instabilità resa dalla recitazione volutamente disturbante di Alex Lutz, a Martin che ha quasi paura del cambiamento che può avere la sua vita fino ad Aurore che rappresenta quasi l’opposto di Bertina; le due protagoniste femminili sono anche in evidente contrapposizione, quasi in un continuo cortocircuito tra luce e ombra, sottolineata dalla rispettiva interpretazione di Louise Chevillot e Léa Drucker. Anche se diversissime, Bonitzer le mostra come due figure sfuggenti, apparentemente ai margini della storia, ma che poi diventano decisive ogni volta che agiscono. Oltre che sul quadro di Schiele, anche sulla caratterizzazione di Aurore il cineasta francese estende la sua riflessione sull’imbroglio, la truffa, evidente nelle bugie che la ragazza racconta sulla sua vita. Il quadro rubato è un film che mostra non tanto il mondo della pittura ma chi ne trae profitto. Per questo sono tese ed incalzanti le scene delle aste, dove quella finale del quadro è già anticipata da quella di un libro. C’è nello sguardo del cineasta un’indiscutibile eleganza ma anche una tensione nascosta. In ogni immagine si possono rintracciare i misteri che si possono cogliere guardando “I girasoli”. Ma Bonitzer non ne fa una dichiarazione di estetica. Ex-critico dei Cahiers du cinéma, il cineasta si interroga (stavolta dal punto di vista del cineasta) sulla bellezza e sul valore dell’arte. Al tempo stesso si collega con la sua filmografia come regista mettendo in evidenza come la vita del protagonista possa essere stravolta da un evento (come in Jean-Pierre Bacri in Cherchez Hortense) o si confronta con i generi come il giallo, come è già accaduto in Alibi e sospetti. In più, l’illusione di un’alternanza tra vita reale e rappresentazione lascia avvertire l’influenza dell’opera di Jacques Rivette con cui Bonitzer ha collaborato a più riprese come sceneggiatore.
Caratterizzato da uno stile classico ma efficace, Il quadro rubato è una commedia/thriller morale ed acida dalla scrittura brillante, un tableaux vivant dove i personaggi rivelano le loro ossessioni e la loro follia grazie anche alle prove di alto livello dei suoi attori. Un cinema sull’ambiguità vecchio stampo, controllato formalmente ma che sa essere anche intrigante.
Il mondo del lusso ha mille sfaccettature, declinazioni più o meno esibite di capacità di spesa. Al suo interno c’è un filone dall’immaginario consolidato più che altro al cinema, in cui il godimento del “bello” e del “lussuoso” avviene all’interno delle mura di casa, spesso dopo un acquisto anonimo. Il mondo delle opere d’arte, delle case d’asta che gli danno valore e le fanno circolare è sicuramente affascinante, ma accompagnato da un alone di mistero e segretezza. È all’interno delle cassaforti e dei segreti luoghi per addetti ai lavori in cui si quotano e smerciano quadri d’autore, senza frontiere e globalizzato per definizione, che è ambientata questa intrigante storia, fra thriller e commedia sofisticata. Storia di formazione per la giovane stagista in una prestigiosa casa d’aste, Aurore (Louise Chevillotte), e in parallelo della crisi di mezza età del suo capo, André (Alex Lutz), banditore di successo, ormai molto benestante dopo un’infanzia marginale. Il tono de Il quadro rubato, fin dalla prima scena, si configura come particolare, fatto di ironia trattenuta e personaggi goffamente a disagio nell’indossare i loro abiti, letteralmente ma anche socialmente. A partire da Aurore, mentitrice seriale quasi inevitabile, all’interno di uno sguardo divertito nel mondo dell’arte, in cui Pascal Bonitzer immagina il dietro le quinte di un fatto reale, il ritrovamento nel 2004, a casa di un giovane operaio della periferica Mulhouse, al confine con Svizzera e Germania, di un celebre quadro di Egon Schiele, I girasoli, sparito nel 1939 durante le spoliazioni naziste dell cosiddetta “arte degenerata” voluta in prima persona da Hitler, “dall’alto” dei suoi studi falliti di Belle Arti. È André, nel film, a ricevere una lettera misteriosa che annuncia il ritrovamento. All’inizio è a dir poco scettico, dall’alto della sua spocchia e della sua collezione di orologi di lusso, ma poi un viaggio cominciato controvoglia lo porta a convincersi che in un contesto a dir poco bizzarro, appeso nel piccolo salone di una casetta di periferia, si trova veramente il capolavoro di un autore iconico, morto a soli 28 anni nel 1918 per la terribile influenza spagnola. A quel punto inizia la parte più thriller che diventa quasi spionistica della vicenda, con il coinvolgimento degli eredi del possessore originale del quadro, più di una casa d’aste senza troppi scrupoli e una possibile quotazione di qualche decina di milioni di euro. Basti dire che sarà il ventenne operaio, proprio colui il quale avrebbe più bisogno di soldi e viene da un retroterra più modesto, a dimostrare un cristallino spessore etico, un rispetto di valori morali che fra le chiuse stanze dei collezionatori e dei loro papponi non sanno propriamente cosa siano.
(…) Schiele dipinse I girasoli, in omaggio al famoso quadro di Van Gogh, ma li raffigurò come morenti, perché era in corso la Seconda Guerra Mondiale. Non è un caso che André Masson riceva quella misteriosa lettera sul presunto dipinto di Egon Schiele, ritrovato a Mulhouse, nella casa di un giovane operaio, non è un caso che André sia inizialmente scettico e con questo atteggiamento si rechi sul posto. Potrebbe essere un sogno, un’illusione e poi si scopre essere una scoperta straordinaria: un’opera autentica, creduta scomparsa dal 1939, tra quelle trafugate dai nazisti. Il ritrovamento sarebbe il punto massimo della carriera ma le cose non sono così facili ed emergono dubbi, pressioni, pericoli legati alla provenienza del quadro. André si troverà a lottare non solo per restituire all’opera il valore che merita, ma anche per dare un nuovo senso alla propria esistenza. Il Quadro Rubato si concentra su tematiche diverse da La migliore offerta (Giuseppe Tornatore, 2012) appunto, l’opportunità di svelare il cinismo e gli intrighi che si celano dietro al ritrovamento di un’opera al fine di sfruttarne al massimo il potenziale commerciale e la sua valorizzazione economica. Oltre ad essere un pretesto per dipingere un ritratto del mondo dell’arte, è anche una disamina sulle disuguaglianze sociali e sulle debolezze umane. Il Quadro Rubato, con un certo realismo, a volte anche pungente, che tinge l’opera di commedia e d’assurdo, è una riflessione sulle malefatte e l’avidità di un certo tipo di mondo anche cinico, non è un caso infatti che i personaggi siano sgradevoli e pronti a essere sarcastici – un odioso collezionista razzista, un banditore sprezzante, freddo e asciutto. Ridotta a oggetto del desiderio finanziario, a prodotto commerciale da mettere in mostra, l’opera sparisce dietro i personaggi che se la contendono. Una situazione irritante per gli amanti della pittura, ma un buon modo per rappresentare un ambiente in cui l’arte è diventata l’ ultimo dei problemi dei suoi protagonisti. Pochi sono i personaggi che ci lasciano tirare un sospiro di sollievo come ad esempio l’avvocato di Mulhouse, Bertina, l’esperta estrosa interpretata da Léa Drucker, e soprattutto Martin, semplice e diretto. Da tutto ciò emerge anche un’altra tematica, il divario sociale. Il mondo degli orologi e delle macchine di lusso si scontra con l’ ambiente operaio e “provinciale” di Martin che vive in una modesta casa di periferia che non ha idea del valore del quadro appeso nella sua casa, accanto a un bersaglio per le freccette! Il Quadro Rubato è un film che racconta un mondo affascinante che porta al centro tematiche interessanti. Pascal Bonitzer, con un cast in parte, dirige un film che forse apre fin troppe storie, compone un quadro a tratti troppo intricato che non riesce a coinvolgere sempre nello stesso modo.