Mohammad Rasoulof

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Il seme del fico sacro è un film prodotto, scritto e diretto da Mohammad Rasoulof, regista iraniano vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino grazie a Il male non esiste (2020). La pellicola è stata girata in clandestinità per aggirare la censura del regime iraniano, che ha già impedito la distribuzione di tutti i film di Rasoulof, oltre ad averlo condannato a otto anni di carcere, motivo per cui attualmente il regista è in esilio forzato in Europa. La pellicola unisce scene girate in interno con gli attori, ai video reali delle violente proteste avvenute in Iran a partire dal 2022. Il Film è candidato agli Oscar 2025 come miglior film internazionale ha vinto il premio speciale della giuria al festival di Cannes 2024. In Italia il film è distribuito da BiM Distribuzione e Lucky Red. Il titolo del film si riferisce a un tipo di fico che si diffonde avviluppando e strangolando gli alberi, simbolo del regime teocratico in Iran.
Ormai non ci sono più metafore, si va dritti contro il regime iraniano, a sostengo di una rivoluzione che nasce dalle donne e all’interno di ogni nucleo familiare, con la speranza che travolga la cieca dittatura patriarcale dei mullah. Difficile prescindere da quanto accaduto al di fuori del suo ultimo set e del grande schermo a Mohammad Rasoulof, fra i migliori autori iraniani, che dopo aver concluso il montaggio di The Seed of the Sacred Fig è fuggito dal paese per presentarlo in concorso al Festival di Cannes, dopo una condanna folle a otto anni di prigione, con tanto di frustate annesse. Perché è da anni, da una carriera, che Rasoulof è un artista sul filo della vendetta del regime per i suoi film, come il precedente, Il male non esiste, splendido racconto in quattro episodi sulla pena di morte in Iran, per cui gli venne vietato di lasciare il paese, e quindi di ritirare l’Orso d’oro vinto a Berlino nel 2020.
Ma prima di tutto, The Seed of the Sacred Fig, è un ottimo esempio di cinema fra dramma e paranoia, lungo quel crinale scosceso in cui facilmente piccole situazioni apparentemente marginali possono portare una famiglia a deragliare completamente, portando con sé una figura patriarcale che evidentemente rappresenta anche il sistema di potere dei mullah, paranoico e chiuso all’esterno, lontano da ogni esigenza e richiesta di un popolo giovane e vitale, sempre più stufo di accettare imposizioni che restringono la sfera di ogni libertà, privata e ancora più pubblica. Se il nucleo di prima organizzazione di ogni società è la famiglia, Rasoulof racconta di un padre, di una madre e moglie e delle tre giovani figlie, impegnate fra scuola superiore e università. Un’apparente lieta notizia, da festeggiare, come la promozione del patriarca a un ruolo da inquirente nel sistema giuridico iraniano, anticamera della promozione a giudice, coincide con l’esplosione della rivoluzione Donna, vita, libertà. Occasione per rendere partecipi le figlie del suo lavoro, prima tenuto segreto, mentre le giovani vivono la tensione per strada e nella loro quotidianità, sempre meno disposte a seguire le regole della casa rigide e perfettamente allineate con il regime. Basta la sparizione della pistola del padre per scatenare una paranoia sempre più irragionevole, mentre la svolta di carriera – con casa e benefit economici inclusi – sembra a rischio. Il suo ruolo pubblico, di fatto solo da imbratta carte e boia pronto a mettere una firma su condanne già altrove decise, sembra incrinarsi in una piccola rivolta domestica, fino a una resa dei conti da thriller pieno di suspence, in un contesto suggestivo e antico come la storia della Persia.
Rasoulof fa ampio uso delle immagini prese dai social delle tante dimostrazioni di immenso coraggio di donne in tutto l’Iran, pronte ad accompagnare una presa di consapevolezza delle due ragazze, nel momento in cui i fatti non vengono più rilanciati a cena o dalle televisioni del regime, ma sono sotto i loro occhi. Si rendono conto che chi viene picchiata e arrestata è la gioventù comune, non trattandosi certo di facinorose criminali. The Seed of the Sacred Fig prosegue come un viaggio a spirale, generando una tensione da thriller di classe, mentre si stringe lo stomaco a vedere un coraggio nella ribellione in cerca di libertà che non rimane certo confinata sullo schermo, ma genera un corto circuito emotivo con quanto accade nel dramma della realtà. Non è forse il miglior film di Rasoulof, ma sicuramente è il più politico e coraggioso.
The Seed of the Sacred Fig (in italiano la traduzione letterale è Il seme del fico sacro) non si può raccontare senza tenere in considerazione il suo status sociale e politico, in netta opposizione al regime teocratico iraniano, opprimente e medievale. Prima di entrare in sala, in occasione della première del film a Cannes 77 (presentato in concorso), il regista Mohammad Rasoulof ha mostrato le foto di Missagh Zareh e Soheila Golestani, i due interpreti protagonisti, che non hanno potuto lasciare l’Iran. Lo stesso Rasoulof, tra l’altro, è un rifugiato: dopo essere stato condannato ad otto anni e alla fustigazione (per la “sua collusione contro la sicurezza nazionale”), è scappato (a piedi) arrivando in Europa, subendo tra l’altro pressioni dal parte del regime, forzandolo a ritirare il film dal concorso del festival.
ll potere gravoso e dittatoriale teme, più di ogni altra cosa, la libertà d’espressione. Il pensiero individuale, riflettuto su una collettività che sempre di più guarda agli ideali, sembra allora essere la potente (potentissima) chiave di Il seme del fico sacro. Coeso e mai sbaffato nei suoi rigidi (e infine esplosivi) 168 minuti, Mohammad Rasoulof osserva dall’interno i tumulti umani dell’Iran, per una messa in scena asfissiante che, inevitabilmente, mescola la realtà con la finzione. Del resto, Mohammad Rasoulof, voce irregolare rispetto ai dogmi del regime, ha girato il film in modo clandestino (tanto che c’è una scena in esterna nella quale il protagonista gira con una mascherina sanitaria), organizzando gli spazi in modo tale che la sceneggiatura potesse riflettere in modo preciso l’umore rabbioso di un verbo che si coniuga al meglio con la rivoluzione artistica e politica.(…)
Lo si capisce subito che Iman non sia una figura affabile né progressista (bensì è l’emblema del patriarca), ma Rasoulof ha la capacità di trasformarlo un poco alla volta, smorfia dopo smorfia. Una deformazione che risulterà poi definitiva, a tratti violenta, come è violenta la repressione del regime di Tehran. Per quanto contestuale e senza mai essere direttamente nominata, l’uccisione di Mahsa Amini (lei sì, una martire) sembra spingere il regista ad una comprensiva e sostenibile presa di posizione, facendo delle figure femminili i veri punti di svolta di un thriller che aumenta la pressione, e di conseguenza amplia l’interesse del pubblico, rapito e volutamente confuso dalla verità e dalla menzogna con cui il regista pare voler giocare. Un gioco padronato in modo rigoroso, minimalista e naturalmente in modo coraggioso: se abbiamo parlato di quanto Il seme del fico sacro sia un film carbonaro, Rasoulof ha l’ardimento di scavare sotto la superficie, (ri)partendo da una famiglia che si scoprirà essere in netta contrapposizione (ed è meraviglioso che Rasoulof ritragga le donne, in casa, senza il velo), e in qualche modo risolutiva nelle tonalità di un thriller domestico che non sbaglia un battito. Un cuore famigliare scritto in modo discreto e mai urlato, tuttavia rivelatorio nel taglio nerissimo di un finale concitato e metaforico. Per certi versi, un finale profetico (speriamo) di quella lotta portata avanti dal regista, e dai tanti come lui che credono nella possibilità di un cambiamento.