Tony Goldwyn

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Ezra è un ragazzino autistico intelligente e spiritoso, che mette in costante difficoltà i coetanei, gli adulti di riferimento e i genitori separati, con i suoi sprazzi di ribellione, le sue “fissazioni”, il suo rifiuto di farsi abbracciare, le sue crisi che possono avere conseguenze inaspettate e pericolose. Il padre è uno stand-up comedian protettivo e attento, po’ infantile e istintivo, che non ha comunque idea di come aiutarlo, la madre accetta più di buon grado i consigli e le terapie dei medici e delle istituzioni. E poi c’è il nonno, burbero e dal rapporto irrisolto col figlio, ma che vuole un gran bene al nipote. Quando Ezra viene espulso da scuola in seguito ad un episodio frainteso, e mandato in una comunità di ragazzi con vari tipi di handicap, dove può solo peggiorare, il padre lo rapisce e inizia con lui un lungo viaggio pieno di sorprese, da New York alla California e lo show di Jimmy Kimmel, alla ricerca confusa di un futuro migliore per entrambi.
Non è facile parlare con verità, ma anche in modo divertente e coinvolgente, della difficoltà dei rapporti coi genitori, e della situazione di avere un figlio autistico, che in qualche caso significa solo che non marcia allo stesso passo della maggioranza, per quanto possa addirittura essere più brillante, maturo e intelligente di quelli che la società considera “nella norma”. Ci riesce però benissimo questo film, grazie alla bella sceneggiatura di Tony Spiridakis, che ha ispirato la storia alla sua esperienza personale (quando, alle prese con una dolorosa separazione, doveva imparare a convivere con l’autismo del figlio), alla sensibile regia di Tony Goldwyn e alle credibilissime performance dell’intero cast.
Non esiste purtroppo una “scuola guida per genitori”, non viene rilasciata nessuna patente e non c’è un manuale di istruzioni per questo difficile mestiere. Così, ogni padre o madre responsabile, si sente sempre inadeguato nei confronti di un figlio a cui vorrebbe risparmiare ogni sofferenza, e quando questo è un ragazzino o una ragazzina “problematici”, il senso di colpa rischia di distruggere entrambi. Ovviamente nella complessità di questi casi, a essere coinvolta è l’intera famiglia, dove si cerca l’origine (sconosciuta) di questa “deviazione”. Il genitore finisce per chiedersi dove ha sbagliato e si trova a volte impotente, a desiderare che anche lui o lei sia, o diventi, come tutti gli altri. La conoscenza e l’accettazione sono la chiave di tutto, ma non è facile arrivarci, se le istituzioni scolastiche non sono attrezzate per affrontare l’inserimento di un ragazzo che non comunica come gli altri e la risposta medica risiede a volte solo nella farmacologia. Anche se sul disturbo dello spettro autistico, in cui rientra una gamma vastissima di casi, si sono fatti enormi passi avanti, non è mai abbastanza per chi deve conviverci.
In viaggio con mio figlio non è, come avrebbe potuto facilmente diventare nelle mani sbagliate, un film retorico, ricattatorio o patetico: al contrario, è pieno di una vitalità e ironia che lo rende godibile e facilita l’empatia dello spettatore. Se è incredibilmente bravo il protagonista esordiente, William Fitzgerald, un quattordicenne neuro divergente che si appropria della scena, improvvisando molte delle sue battute e citazioni di film e telefilm e ci conquista tenendo testa ad attori veterani, Bobby Cannavale mette davvero l’anima in un ruolo in cui dimostra tutta la ricchezza delle sue corde interpretative. E non sono da meno, diretti da un collega di cui sanno di potersi fidare, Rose Byrne, Robert De Niro (che dipinge una bellissima figura di padre e nonno senza manierismi), Whoopi Goldberg, Rainn Wilson, Vera Farmiga e gli altri attori, incluso lo stesso Goldwyn che si ritaglia con molta autoironia il ruolo del nuovo compagno della moglie, un avvocato bene intenzionato ma con evidenti limiti.
In viaggio con mio figlio sembra un film d’altri tempi, libero e vero, con momenti divertenti e altri drammatici, e con semplicità sa farci riflettere e ci intrattiene senza mai essere banale e predicatorio. In questo anomalo road movie, che come vuole il genere è un percorso di crescita per tutti i protagonisti, si riconosce anche il lato migliore di Hollywood, quello che auspica una società in cui tutti vengano accettati per quello che sono e considera la diversità una ricchezza che può migliorare i rapporti umani con l’ascolto, l’empatia e l’accettazione. In questo senso, In viaggio con mio figlio è anche – sia pure non programmaticamente, anche perché realizzato due anni fa – un film che è un piccolo ma necessario baluardo di resistenza ad un mondo senza più pietà, esemplificato alla perfezione da un’America che ribalta all’improvviso, in modo autoritario e drammatico, i principi democratici di tolleranza e accoglienza in nome del diritto del più forte, o meglio del più ricco.