Justin Baldoni

La trentenne Lily Bloom si trasferisce a Boston per inseguire il sogno di aprire un negozio di fiori tutto suo e lasciarsi alle spalle i traumi di un’adolescenza segnata da un padre violento. Lì si innamora, ricambiata, di Ryle Kincaid, un affascinante e ricco neurochirurgo con il quale va presto a convivere. Tra i due tutto sembra andare a gonfie vele, finché l’arrivo (o meglio, il ritorno) del primo amore di Lily, Atlas Corrigan non stravolge la loro relazione. Il peso degli abusi torna ad affliggere Lily, questa volta sulla sua stessa pelle, ma la gioia di una inaspettata sorpresa, unita al sostegno sincero delle persone che ha più vicine, le daranno la giusta forza per reagire.
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Classificazione
Presentazione e critica
“Bloom”, “sbocciare”; “Lily”, “giglio”; insieme: Lily Bloom. Era un destino impresso nello spazio di un nome e di un cognome, quello della protagonista di It Ends With Us. Quel legame unico, istintivo, verso i fiori, verso la loro cura, l’attenzione nel renderli una tavolozza di colori che catturano l’occhio, riempiendolo di mille sensazioni, la giovane sembra non esserselo scelto; era predestinata a cucirselo addosso. E così, la donna che guida verso Boston, nella speranza di rinascere e di ri-sbocciare con colori nuovi, più belli e più accesi, è un giglio che cerca di riaprire al mondo una purezza perduta.
Al centro di It Ends With Us c’è dunque Lily, e c’è la sua interprete, quella Blake Lively che si fa punto nevralgico, faro illuminante dell’intera opera. Il mondo della giovane prende vita in un attimo di morte: dopo il funerale del padre, la ragazza decide finalmente di trasferirsi a Boston per aprire il proprio negozio di fiori. Con le chiavi ancora in mano, e gli spazi da pulire, Lily incontra Ryle Kincaid (Justin Baldoni, qui anche regista e co-produttore), neurochirurgo bello e tenebroso, che si rivelerà essere il fratello della sua assistente fioraia, Allysa. Ma Ryle non è un tipo da relazione stabile; a lui piacciono le avventure, cosa che spinge Lily a resistere alle sue lusinghe, frenata anche dai fantasmi traumatici di un passato che ritorna: il padre picchiava la moglie, e ha fatto lo stesso con il primo amore della figlia, Atlas. Quando finalmente Lily cede alle attenzioni di Ryle, sarà proprio l’incontro con Atlas nel suo ristorante a scatenare il lato oscuro e violento dell’uomo, con cui Lily dovrà fare i conti. È un film che gioca costantemente sull’essere duplice e duale, antitesi e amalgama di temi, gesti, e possibilità, It ends with us. È un film che vuole confortare il proprio spettatore, con fare semplice ed elegante, trattando al contempo un argomento delicato come la violenza domestica; una violenza che qui non è mai netta, vivendo sul crinale della sua manifestazione visiva, e quella potenziale. La collera di Ryle si esprime con gesti che oscillano tra il condannabile e il sopportabile, e questo, in un momento storico come quello attuale, non è forse più accettabile.
Il bloccarsi sul confine tra due stati d’animo, rimanere neutrali senza prendere una posizione, lascia spazio a una possibile comprensione e vicinanza verso un personaggio come quello interpretato da Baldoni, i cui comportamenti non possono e non devono essere accettabili o compresi. In questa dimensione duale, It Ends With Us si configura principalmente come una galleria di primi piani nei momenti di intenso pathos emotivo, catturando sguardi che rivelano ogni mutamento interiore, brividi sulla pelle e scosse nell’anima. Le riprese si allargano per inquadrare due corpi in conflitto, pronti a essere divisi dalla paura dei colpi da infliggere e dalle botte subite. Sono inquadrature perfettamente frontali al campo di visione, studiate, preparate, mai poste fuori asse, che però proprio per questo perdono di quell’imprevedibilità, di quel sopraggiungere improvviso della violenza accecante. (…) La regia di Justin Baldoni – già noto per A un metro da te e Clouds – segue il semplice processo di traduzione visiva del materiale di partenza. Prende le parole di Colleen Hoover, le adatta in sceneggiatura insieme a Christy Hall e le riversa sullo schermo con un approccio canonico e alquanto classico (…) ma in un periodo storico come quello attuale, la violenza domestica deve essere urlata, sbattuta in faccia in prima pagina, non semplicemente sospirata.
Ci volevano un romanzo rosa da milioni di copie e un attore perlopiù televisivo all’opera terza come regista per rinverdire i fasti del grande film sentimentale, da sempre specialità hollywoodiana nel suo capitalizzare il carisma degli interpreti e squadernare un catalogo di traumi che possa allagare gli occhi del pubblico. Dal bestseller (con elementi autobiografici) di Colleen Hoover, It Ends with Us – Siamo noi a dire basta trova il centro magnetico in Blake Lively, non solo per la luce che irradia ma anche per come sa trovare una cifra personale nello svolgimento di un personaggio archetipico (la donna che vuole cambiare vita ma deve fare i conti con i contraccolpi del passato).
Lively esercita uno star power naturale, si trasforma in una novella Susan Hayward, gioca con gli stereotipi e con le facili metafore: la sua eroina si chiama Lily Blossom Bloom (letteralmente “fiore di giglio”) e, dopo la morte del padre, si trasferisce a Boston per aprire un negozio di fiori. Le basterebbe l’appagamento professionale, solo che finisce per innamorarsi di un dolce e ricco neurochirurgo palestrato che prima incontra per caso su un terrazzo e poi ritrova grazie al destino (“Uno come me l’hai visto solo nelle soap” ironizza Baldoni, che apparentemente si direbbe poco modesto per essersi ritagliato il ruolo di quest’uomo perfetto). Una vita da favola, se non fosse per certi ricordi del passato che riaffiorano qua e là, un misterioso cuore tatuato sulla clavicola e una cena in un ristorante di grido: il destino ti sorprende quando meno te l’aspetti, soprattutto se non ha finito di fare i conti con il passato e la storia rischia di ripetersi. Senza strafare né eccedere in virtuosismi, impagina con un occhio alla serialità pop e uno alle regole del mélo classico: il plot twist arriva al momento giusto, il cambio di registro è ben calibrato, la tensione monta senza derive pornografiche, i primi piani indicano una cartografia emotiva, la fotografia è al servizio dei corpi in scena e esalta una funzionale malinconia autunnale. Come indica il titolo (che a suo modo è uno spoiler, ma anche o un monito o un consiglio), il percorso della protagonista è complesso quanto esemplare, il che permette al pubblico femminile un utile processo di identificazione (in questo senso la figura della madre è. Ma It Ends with Us ha soprattutto il merito di ragionare sulla consapevolezza degli uomini e sulla ridefinizione di un modello maschile, versante su cui da tempo Baldoni è impegnato (ha realizzato libri, podcast, talk su come la mascolinità tradizionalmente definita sia diventata un problema sociale), senza cadere nella trappola manichea della misandria. Il palinsesto è ampio: il patriarcato deve essere seppellito (letteralmente: ciò che è scritto sulle lapidi è meno incisivo di quel che non si può scrivere su un fazzoletto), il passato traumatico non può essere una giustificazione ma un punto di partenza per migliorarsi, l’aggressività va affrontata con specialisti, la vulnerabilità deve essere una ricchezza, nessuno si salva da solo. Bel finale sui tre fronti (genitorialità, famiglia, amore).