La casa degli sguardi

Luca Zingaretti

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Marco ha una grave dipendenza dall'alcol e dalle droghe, che peggiora di giorno in giorno. È un ragazzo estremamente sensibile, scrive poesie e sente addosso tutto il peso del mondo. L'angoscia che lo tormenta riesce ad attenuarsi solo in parte grazie all'alcol.
DATI TECNICI
Regia
Luca Zingaretti
Interpreti
Gianmarco Franchini, Luca Zingaretti, Federico Tocci, Chiara Celotto, Alessio Moneta, Riccardo Lai, Marco Felli, Cristian Di Sante, Filippo Tirabassi, Katia Greco, Simone Carta
Durata
109 min
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Luca Zingaretti, Gloria Malatesta, Stefano Rulli
Fotografia
Maurizio Calvesi
Montaggio
Stefano Chierchiè
Musiche
Michele Braga
Distribuzione
Lucky Red
Nazionalità
Italia
Anno
2024

Presentazione e critica

Marco è un ventitreenne che ha sofferto la perdita prematura della madre e non sa ancora capacitarsene. Il risultato è un ragazzo stravolto dai sentimenti negativi, troppo pesanti e incontrollabili per riuscire a viverli nel quotidiano di ogni giorno. La sua prima via di fuga si chiama alcool. E nell’alcool riesce ad affogare facilmente i suoi tormenti. La sua seconda via di fuga si chiama poesia, passione che ha ereditato dalla madre morta. Quest’ultima funziona però meno bene del vino e della grappa, o almeno non soddisfa Marco quanto lui vorrebbe. Nonostante l’amorevole padre, che di mestiere fa il tranviere, faccia di tutto per stargli vicino e continui a mostrargli fiducia nonostante le sue continue ricadute, Marco non riesce però ad ingranare nella vita. Per accontentare il padre e il suo amico editore Davide una mattina si presenta, anche se con poca motivazione, a lavorare ad una cooperativa di pulizie dell’ospedale pediatrico romano Bambino Gesù. Un poco alla volta Marco riesce a trovare nel lavoro lo spirito giusto per andare avanti e uscire dall’isolamento in cui lo ha portato l’alcolismo. Grazie a Luciano, Giovanni e Claudio, i suoi compagni di squadra, capisce che, come gli rinfaccia con pragmatismo Giovanni “l’esclusiva dei casini non ce l’ha solo lui”. Comincia a frequentare la collega Paola con la quale inizia una relazione. Ma l’alcol continua a rimanere la sua unica àncora di salvezza, specialmente quando i rovesci della vita gli portano via, e ripetutamente, gli affetti e le amicizie che si è da poco e con fatica conquistato.

La casa degli sguardi è un film dove prevalgono – in un basso continuo di romanità – i buoni sentimenti anche in forza delle relazioni positive che si instaurano fra gli individui . È un invito a riconsiderare l’importanza di quei piccoli gesti quotidiani e sì, anche di sfuggenti e volatili sguardi, che fanno, a volte, la differenza, e aiutano ad alleggerire situazioni che spesso vengono a pesare nella realtà di ogni giorno. Sembra che al Zingaretti regista interessi più il contenuto che la forma e forse per questo sullo schermo le lacrime scorrono facili, specie al protagonista, che sembrerebbe volersi portare sulle spalle tutta la sofferenza del mondo. Nel film il regista lo sottopone ad una transizione catartica, in quanto deve prima arrivare a conoscere fino in fondo il dolore, per poter poi veramente decidere di voler uscire dal tunnel della dipendenza. E arrivare quindi a raggiungere uno stato d’animo di quieta, o almeno prolungata serenità emotiva. Quando Marco, infine, riesce finalmente a trovare un equilibrio interno praticando un lavoro, umile ma utile, al servizio della società, ciò gli permette di relazionarsi e confrontarsi con una realtà esterna per certi versi più dura della sua; si apre agli altri e comincia ad empatizzare con chi è ancora più sfortunato di lui. Il lavoro acquista un valore doppio: per l’individuo e la comunità. Se l’impiego viene percepito da Marco come orgoglioso riappropriarsi del proprio tempo – quest’ultimo prima probabilmente sprecato davanti a più di un bicchiere al bar – è oltremodo motivo di partecipazione ad un gruppo, la squadra appunto, nella quale tutti si rispettano e aiutano vicendevolmente. Ecco, qui forse la situazione presentata nel film è molto edulcorata rispetto alle realtà delle cooperative, dove i contratti sottopagati rendono difficili anche le relazioni umane. Possiamo dire che questo non è, forse, il punto di forza della storia.

Inoltre, il regista romano mette in rilievo una relazione padre-figlio – la somiglianza fra i due è accentuata dalla testa rasata di Marco – che per quanto tesa non degenera mai nella violenza e Zingaretti padre diventa idealmente la figura paterna per antonomasia, in quanto, calmo e paziente, non perde mai la fiducia nel figlio nonostante tutto quello che combina! Tutto sommato La casa degli sguardi è un film che mette l’accento sulla forza positiva delle relazioni umane e la capacità del singolo di uscire dalle fasi buie della propria esistenza rimboccandosi le maniche e prendendo parte ad un lavoro di gruppo, sia questo, come nel caso di Marco, lo sgombero di mobili dalla canonica, o altri progetti non in solitario. Lo consigliamo a chi cerca al cinema una storia generosa e ricca di umanità.

 

Close-up

(..) Un racconto coraggioso sul rapporto fra i giovani e la dipendenza da alcolici, nella spirale di solitudine, prostrazione e vergogna, senza facili scorciatoie o paternalismi di sorta nella progressiva liberazione dalla sofferenza. La casa degli sguardi parla del dolore non come conseguenza, ma come tappa della vita per ritrovare la felicità e la gioia. La sceneggiatura scritta da Zingaretti insieme a Gloria Malatesta e Stefano Rulli è capace di cogliere, oltre al disagio interiore di Marco che si anestetizza per vivere, tutte le sfumature della vita nel percorso di speranza e riscatto di un protagonista straordinario che, con grande sensibilità e consapevolezza offre una visione sincera dell’esistenza. C’è quasi un presentimento che circonda Marco per tutto il film, soprattutto quando si aggrappa all’alcol, cioè la vergogna verso il prossimo (”si mette il cappuccio e tiene la testa bassa”) che inizialmente lo portaa isolarsi da tutto: si allontana dagli amici, dal padre e dalla fidanzata. Ma è solo nel momento in cui ritrova l’amicizia (attraverso i colleghi), l’amore e il lavoro (che radica l’essere umano) che il protagonista ricorda il valore di certi aspetti della vita, si rimette in piedi, «alza lo sguardo e guarda negli occhi» e si riprende la sua dignità.

La pellicola evita di usare esclusivamente toni negativi, esprimendo la delicatezza e gentilezza di chi ha sofferto e continua a soffrire cercando disperatamente di salvarsi attraverso la poesia «fonte di bellezza» e cogliendo rari momenti di gioia che la vita gli offre. Il rapporto autentico e toccante tra Marco e suo padre diventa di salvezza e redenzione, che riflette sul tema relazionale tra genitori e figli che attraversa l’intero lungometraggio.(..)

(…) Anche il finale del film segue questa scia: Marco, al bar, assiste ad uno scambio di tenerezze tra una madre e un bambino e capisce che è da lì, dagli affetti perduti, che bisogna ripartire. Solo i legami, le passioni, gli inattesi squarci di poesia e bellezza permettono, nonostante l’arbitrio del destino, di provare a vivere e costruire qualcosa, imparando, pian piano a prendersi cura di sé e degli altri. In questo senso, il film sembra fare il paio con Nonostante di Valerio Mastandrea: lì è tutto evocato in maniera rarefatta e metafisica, qui tutto è esplicitato, talora in maniera fin troppo didascalica, ma il tema è esattamente lo stesso: la fatica di esistere e l’innamorarsi, di qualcosa o di qualcuno, come unico antidoto e sollievo

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