Guillaume Nicloux

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
-Bisogna che il tuo cuore sanguini perché il pubblico senta qualcosa”.
Nella Parigi del 1896 l’attrice teatrale Sarah Bernhardt è all’apice della sua carriera.
Icona del suo tempo, influencer ante litteram, ma soprattutto star mondiale, la talentuosa interprete inizia anche una storia d’amore che, soprattutto a quei tempi, sfidava le rigide convenzioni.
Il suo amante infatti, il seducente Lucien padre del noto attore e regista Sasha Guiltry, era in quegli anni un attore acclamato ed amato, ma più giovane di Sarah di ben sedici anni.
Ma Sarah non apprezzava solo i begli uomini, ma era solita frequentare anche donne, come la bella Louise.
Spaziando audacemente entro tre fasi di vita e carriera della diva (procedendo a ritroso nel tempo si inizia dal 1915, poi si va al 1896 e si arriva al 1886), il film ricostruisce minuziosamente un ritratto di una donna indipendente e ambiziosa, ironica e sicura di sé, orgogliosamente femminista ed amante degli eccessi, ma anche generosa, predisposta a soffrire per la innata capacità di percepire i sentimenti in modo bruciante ed intenso.
E trovando, grazie a questa chiave percettiva, la forza di tradurre questi tormenti in prestazioni interpretative eccezionali, unisce, magistrali.Guillaume Nicloux non realizza un biopic canonico nelle sue regole narrative, ma cerca di liberarsi dei luoghi comuni del genere per dedicarsi ad estrapolare una figura di donna anticipatrice e innovativa, quasi un alieno rispetto alla propria epoca.
Da parte sua la brava ed assai coinvolta Sandrine Kiberlain, pur di fatto somigliante proprio poco per fisicità al suo personaggio, si impegna con passione per tradurre i tormenti sentimentali, e anche fisici, propri di una vecchiaia caratterizzata da pesanti problemi fisici che comporteranno anche una amputazione d’arto, riuscendo ad entrare coerentemente nel personaggio, complesso e sfaccettato, che ha reso immortale ed iconica la figura dell’artista.
(…) Dopo aver raccontato le storie esoteriche e tragiche di L’eletto (2006) e Valley of Love (2014), Nicloux sceglie qui di ritrarre Sarah Bernhardt attraverso la cronaca, facendo leva sull’immaginazione a tal punto da sembrare poco interessato ai fatti, restando fedele a un’unica verità, ovvero al magnetismo indecente di una donna così affascinante da spingerti a perdonarle tutto. La divina di Francia. Sarah Bernhardt non è infatti un biopic tradizionale, ma un ritratto poetico che alterna realtà e sogno, e che si concentra su due momenti chiave, la consacrazione artistica del 1896 e la malattia che condurrà Bernhardt all’amputazione di una gamba.
Con ritmo di montaggio veloce, rapidi flashback, il regista francese realizza un film pittorico che si esalta con la ricerca dell’inquadratura e della fotografia, firmata da Yves Cape, e con la qualità della ricostruzione d’epoca con scenografie, costumi e trucco, ma che allo stesso tempo rifiuta la precisione filologica a favore dell’emozione dando ancor più voce a ciò che lui stesso afferma: “Il cinema non ha l’obbligo di essere autentico, e l’accuratezza documentale non sempre favorisce l’empatia o l’emozione. Mi interessava sognare con lei, catturarla nello spirito del suo tempo”. Così anche l’immaginaria relazione tra Sarah Bernhardt e il collega Lucien Guitry diventa strumento narrativo per indagare il lato umano dietro il mito. La sceneggiatura, firmata da Nathalie Lautherau, accompagna il regista in questo viaggio nella memoria di cui il momento più riuscito è proprio l’inizio, che mostra l’agonia di Bernhardt attraverso una teatralità del gesto e della scenografia che cresce fino a quando, fuori campo, si odono gli applausi di un pubblico. Dopo questo inizio brillante, però, il film scivola in una narrazione poco sorprendente, fatta di amori ripetuti e apparizioni di personaggi famosi senza reale profondità.
A distinguersi da tutti è Sandrine Kiberlain, il vero magnete del film. Il suo è un esercizio da funambola, che tenta senza sosta di rimanere in equilibrio su un filo che oscilla pericolosamente. L’attrice si abbandona a questo ruolo, riproducendo con fedeltà le emozioni tempestose di Bernhardt e l’arte della declamazione più grande del vero. “Era una donna senza limiti – racconta – dormiva in una bara, viveva tra animali selvatici, non conosceva la paura. La sua libertà non era una posa, era la sua natura”. Kiberlain non imita la Bernhardt, ma la reinventa, trovando un equilibrio tra teatralità e vulnerabilità, tra la fragilità del corpo e l’eternità del mito
