Robert Guédiguian

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Maria ama le ostriche, la musica classica e il suo nipotino, che dimostra un talento precoce per il pianoforte. Decisa a farne un pianista ad ogni costo, ha noleggiato un piano verticale e assoldato il maestro migliore di Marsiglia per dargli lezioni private. Ma Maria non ha i mezzi per sostenere queste spese e come la “gazza” di Rossini ruba la vita che luccica e fa la cresta sulla spesa dei suoi clienti, persone anziane di cui si occupa amorevolmente. La devozione la spinge però un po’ troppo lontana, firmando assegni che non potrà restituire. Un accidente scopre il suo gioco ma sotto il sole di L’Estaque qualcuno la ama e la solleva dai guai. All’estremo nord di Marsiglia, in riva al mare, sorge come un sole il villaggio di L’Estaque, oggi 16° arrondissement della città. Décor di molti film di Robert Guédiguian, l’autore resta indelebilmente legato alla città di Marsiglia, al suo cast di attori, che invecchiano davanti alla sua macchina da presa, e ai destini del peuple de gauche nell’inverno politico che ha seguito l’effervescenza degli anni ’70. Ed è questo senso di lealtà incrollabile che rende la sua filmografia così avvincente. Anche i temi restano gli stessi, la precarietà economica e sociale, la solidarietà confrontata ai drammi della vita, la ricerca della luce in fondo al tunnel, l’umanesimo luminoso malgrado la violenza delle società umane.
La gazza ladra non fa eccezione ma come il film precedente, E la festa continua!, cede a una morbidezza mai conosciuta prima. Se Rosa (E la festa continua!) doveva decidere se perseverare nel suo impegno civico o iniziare il processo di disimpegno, votandosi a un nuovo amore, Maria rilancia aggiungendo a quell’esitazione una nota gaudente, quasi inedita in Guédiguian. Dal principio il suo cinema si muove seguendo impulsi opposti, uno politico, l’altro lirico, non sempre conciliabili, da qui la malinconia che gli è consustanziale. Quella malinconia, che prende una piega tragica dentro melodrammi senza scampo (La casa sul mare, Gloria Mundi), infestati dalla morte, dal fallimento e da un senso di disastro sociale, si converte in una brezza leggera che soffia dal Mediterraneo, linea di fuga di ogni appartamento che lo scorge, anche il più modesto. Fermamente intenzionato a non lasciare spazio alla disperazione, l’autore raddrizza la barra e dona a La gazza ladra la forma, affatto patetica o funerea, di una cronaca ordinaria che si sposta da un luogo e da una situazione all’altra, da un problema alla sua risoluzione. Una sorta di sfarfallamento della narrazione che svolge una sitcom marsigliese o addirittura un ‘dramma giocoso’ come quello rossiniano, mescolando elementi drammatici e buffi con esiti lieti. Il cuore della storia è sempre Ariane Ascaride, nonna affettuosa e ‘attivista’ del quotidiano, eroina e compagna, musa e icona popolare che è stanca della fatica ma non smette di praticarla per godersi un piatto di ostriche e sognare il nipote concertista dentro un abito di gala. Intorno gravitano i volti familiari di Gérard Meylan e Jean-Pierre Darroussin, affiancati dalle nuove generazioni che navigano tra amori e intrighi familiari inciampando sulla lotta sociale. Guédiguian non è interessato a ricostruirla fedelmente e la rappresenta con la nobiltà di una grande narrazione.
La gazza ladra è il risultato della volontà di re-incantare la realtà, di filmare i cambiamenti sociali e lo scorrere del tempo, lasciando (grande) spazio al respiro e all’insignificanza. Il film assume volentieri il puro artificio e la scrittura tagliente che gli conferisce quell’aria da opera (quella del titolo) dove la ‘condannata’ viene sottratta in extremis alla ‘pena capitale’. Questo approccio apertamente svagato sfiora il carosello poetico e dimostra una volta ancora che il capitalismo e il ‘ciascuno per sé’ non hanno avuto la meglio sull’ottimismo dell’autore. Coerente, morale e solare, La gazza ladra risplende di vita, di note, è pieno di cose familiari e di rotture di tono, mentre assistiamo all’eterna ridistribuzione delle carte tra gli stessi giocatori e all’aggiornamento di una cronaca, di uno sguardo. Circondato dai suoi indefettibili alleati, Guédiguian realizza un film su la forza dei legami, ripetendo che la lotta non è mai vana se è preziosa per qualcuno e si combatte per chi è prezioso al cuore. Robert Guédiguian sceglie la luce, in senso letterale e figurato. Il sole di Marsiglia magnifica e sembra stilizzare i suoi personaggi, che riposano su una complicità instaurata nel tempo con lo spettatore a colpi di umanesimo, cultura, solidarietà e tanta consolazione. Un solido programma di educazione popolare.
Maria è una donna matura che si occupa di persone più anziane di lei. Alcuni la definirebbero badante, ma le sue modalità comportamentali guardano altrove: è una compagna, una confidente, una cuoca, persino un’amica in caso di necessità. Maria è sempre sorridente, affronta la sua vita a tratti faticosa con una serenità che salta agli occhi, con un’incrollabile fiducia nel presente più che nel futuro, nella benevolenza del destino più che nella razionalità del quotidiano. Maria è di certo una donna del popolo ma che non disdegna piaceri – come troppo spesso troviamo nella narrazione standardizzata delle classi che si vorrebbero subalterne anche nei desideri – che nell’immaginario sconfinano nel lusso. Quando compra i filetti di spigola per il più affezionato dei suoi pazienti/datori di lavoro, Robert Moreau, si fa mettere da parte una dozzina di ostriche che gusta con piacere sotto il caldo sole di Marsiglia.
Ma i soli peccati di gola non bastano a essere felici, a solidificare una realizzazione intima e completa. Maria ha una figlia, Jennifer, cassiera al supermercato e sposata con il camionista Kevin, e un nipote adorato, Nicolas. Il ragazzino suona il pianoforte e Maria è convinta che, con le lezioni appropriate e con il giusto maestro, possa vincere un importante concorso e trovare in quello la strada per il futuro. Il suo progetto non è contemplabile per le possibilità economiche della famiglia, ma Maria non è donna che si scoraggia: con un inganno diluito dalla sfacciata dolcezza – dalla semplicità e concretezza del suo fine – inizia, come la gazza rossiniana, a rubare qualche soldo ai “suoi” anziani, arriva a far recapitare un pianoforte a casa di Nicolas riciclando gli assegni che Moreau le dava per le spese quotidiane. Senza volerlo, con una delicata trasparenza, cerca la felicità per chi ama senza rendersi conto dell’eventuale dolo. O, forse, semplicemente minimizzandolo perché ai suoi occhi quelle marachelle non comportano l’infelicità di nessuno, permettendo invece quella dei suoi cari. Robert Guédiguian disegna con La gazza ladra un’ulteriore pagina del suo catalogo di operette morali ambientate nel quartiere marsigliese de L’Estaque. Nei film di Guédiguian, ormai variazioni su un ristretto ventaglio di temi umani e umanisti, riconoscibili e per questo incisivi, rassicuranti senza perdere profondità, si incontrano sempre gli stessi luoghi e le stesse facce – quasi ci si scorda che siano attori – ormai familiari: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, Jacques Boudet e molti altri. Questo cinema artigianale e personale, fatto tra amici, intimo oltre la finzione cinematografica, aiuta a rendere fluido l’impatto emotivo che porta e provoca, sia quando si esplicita con sfumature più tragiche e politiche (come in La villa o Gloria Mundi) sia quando il discorso engagée si tinge di tonalità più sfumate e sentimentali, immerse in storie private di gente comune dal cuore grande e dagli incrollabili desideri come in E la festa continua! o in questo ultimo lavoro. Forse è vero che Guédiguian fa ormai sempre lo stesso film, ma questa decisione appare perfettamente consapevole: il modo più diretto e sincero per costruire un percorso, per articolare un discorso – ancora: personale e politico – che non corra il rischio di essere frainteso.
Maria, la gazza ladra, non si dichiara innocente, si dispiace certo di avere causato dei problemi a chi le è vicino, ma non è pentita (ché il pentimento è forse un sentimento troppo borghese) perché i suoi furti erano fatti in nome di una felicità, di una speranza, dell’ipotesi di un futuro migliore. Maria non è un’ingenua ma non vuole rinunciare a una sua piccola utopia. E, come in una favola, a sciogliere i nodi e a sollevarla dalle colpe non sarà un intervento dall’alto (che sia quello di un Dio o di una legge terrena) ma una catena di umanissimi atti d’amore. Un cinema utopistico, programmatico nella sua naturalezza, di cui abbiamo tremendamente bisogno.