L’amico fedele

Scott McGehee, David Siegel

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L'Amico Fedele, segue la storia di Iris, una scrittrice che vive a Manhattan e sta affrontando il lutto per la morte del suo caro mentore Walter che si è suicidato recentemente. La vedova di Walter, Barbara, le chiede, come desiderava il marito, di prendersi cura del cane del marito, un imponente Alano di nome Apollo. Iris, riluttante ma ispirata dalla storia di Hachikō, un cane rimasto nella storia del Giappone per la fedeltà al suo padrone anche dopo la sua morte, accetta di prendersene carico.
DATI TECNICI
Regia
Scott McGehee, David Siegel
Interpreti
Bill Murray, Naomi Watts, Cloé Xhauflaire, Josh Pais, Carla Gugino, Noma Dumezweni, Sarah Pidgeon, Owen Teague, Gary Littman, Ann Dowd, Felix Solis, Jess Gabor
Durata
120 min
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Scott McGehee, David Siegel
Fotografia
Giles Nuttgens
Montaggio
Isaac Hagy
Distribuzione
Universal Pictures
Nazionalità
USA
Anno
2025

Presentazione e critica

Lo skyline iconico di New York visto dal Fulton Ferry District, Bill Murray che corre e una voce fuori campo, quella di Naomi Watts – la incontreremo una scena dopo -, che si chiede: “cosa succederà al cane?”. Già, perché il senso de L’amico fedele (The Friend, in originale), diretto da Scott McGehee e David Siegel, è racchiuso già nei primi minuti: una domanda che apre il racconto, seguendo le tracce di un cuore enorme e chiudendo il cerchio di un film che, di diritto, entra nel novero dei migliori dog movies.

Un film raffinato, lieve, emotivo eppure composto nel (ri)elaborare l’accettazione di un dolore che, come sempre accade, crolla sulle spalle di chi resta. Uomo, donna o cane che sia. Ispirato all’omonimo romanzo di Sigrid Nunez – uno dei migliori libri del XXI Secolo secondo il New York Times -, L’amico fedele racconta di Iris scrittrice in crisi affranta dalla scomparsa del mentore Walter, morto suicida. Vive in un appartamento newyorkese in affitto agevolato, è in ritardo con la consegna del libro e, come se non bastasse, Barbara, vedova di Walter, le affida l’affetto più grande di suo marito, l’alano Apollo. In fondo, “I cani non si suicidano, ma possono avere il cuore spezzato”. La scrittrice, da prima restia, stordita dalla perdita, intimorita dal dolore lancinante dell’animale e, per di più, inceppata in un condominio borghese che non accetta quattro zampe (oltre al fatto che Apollo si è pure impossessato del letto), Iris si legherà al cane, affrontando con lui la vita che hanno davanti. L’amico fedele ha la capacità di riflettere su cosa sia l’amore, e quanto l’amore non possa essere scisso da una certa fisicità (per questo diventa essenziale la grandezza scenica di un alano, goffo eppure maestoso, che Scott McGehee e David Siegel sembrano accarezzare, sequenza dopo sequenza). (…)

Movieplayer

Spesso quando muore qualcuno ci si chiede: cosa succede al cane? Il lutto in sé è già un tema difficile da maneggiare, scivoloso, a rischio di forme retoriche, dal sentimentalismo al cinismo con molte vie di mezzo. Questo vale per la perdita umana, ma non meno per il lutto animale: si muove su entrambi i binari L’amico fedele, dal titolo originale più secco e conciso, The Friend, il film di Scott McGehee e David Siegel dal 6 giugno nelle sale italiane. Tratto dal romanzo di Sigrid Nunez che negli USA è un bestseller. Ma per arrivare al punto c’è un percorso: la prima inquadratura è dedicata a un mito bipede, Bill Murray, che sta facendo jogging lungo il fiume a New York. Walter Meredith è un grande scrittore, maestro e leggenda letteraria, solo che ha deciso di farla finita: la sua immagine va in dissolvenza e l’uomo si suicida.

Lascia dietro di sé un pugno di personaggi, soprattutto femminili, tra cui due mogli (una presente e una passata), una figlia e la principale allieva Iris, raffigurata in Naomi Watts, per cui Walter è stato mentore e migliore amico. Forse una specie di amore. Il lutto insomma è generale, prescinde dal genere e perfino dalla razza: anche il magnifico alano Apollo scivola in una condizione di tristezza per l’abbandono del padrone, che pare irredimibile. Non mangia, non si muove, lo aspetta alla porta come un novello Hachiko. Proprio Walter però aveva confidato alla compagna che, in caso fosse accaduto qualcosa, l’animale sarebbe stato affidato a Iris, autrice sola e senza figli, finora amante dei gatti…
Iris non può che accettare e inizia il suo rapporto col cane, gigante e disperato. La donna è una figura alleniana, scrittrice colpita dal blocco, con romanzo in perenne divenire, scolpita nelle strade di New York – più Greenwich Village che Manhattan – e avvolta nella perdita, come il corrispettivo canino. Non è facile gestire un cane enorme: al principio l’animale occupa il suo letto, rifiuta il cibo, resta fermo tutto il giorno. Poi, all’improvviso, dei piccoli segni: mentre la donna sta leggendo ad alta voce Apollo si avvicina e annulla la distanza sociale, rivelando l’abitudine di leggere del fu Bill Murray… E non solo, gradualmente dalla distruzione della casa si passa a un’ipotesi di convivenza pacifica.

Mentre Iris affronta questioni letterarie e astratte, sviluppando le relazioni con le “donne” di Walter, dall’altra parte si impone un problema concreto: a chi affidare il cane, come darlo in adozione visto che nel condominio non può tenerlo. E ovviamente si avvicina Natale. Nel costruire il meccanismo la coppia registica McGehee e Siegel evita un errore alla base: l’antropomorfizzazione dell’animale, tendenza che ancora favorisce uno sguardo post-disneyano classico ormai limitante e banale. In altre parole, Apollo non è un uomo e neanche ci somiglia: continua a comportarsi come un cane e il rapporto con la donna si intavola secondo il carattere di un alano (in inglese Great Dane) con gesti e segnali evidentemente studiati. Una relazione alla pari, dunque, tra due creature alle prese col lutto, ognuna coi proprio mezzi. Poi il sentiero narrativo prevede un’evoluzione e una catena di eventi che porta naturalmente a intravedere uno spiraglio, ma non serve svelare troppo: basti rilevare che il congegno è riuscito. Non è un “feel good movie” né un’istigazione alla lacrima, ma piuttosto una riflessione stratificata sulla morte, ciò che si porta con sé e ciò che si lascia indietro, metaforizzato non a caso con una precisa scelta di razza (i cani vivono poco). Film dolce e struggente, ma anche serio e intelligente, che evita parecchi equivoci e porta a casa la partita, seminando un messaggio implicito antispecista che ci sussurra all’orecchio ciò che sappiamo, non è certo l’uomo la migliore delle specie possibili.

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