Carine Tardieu

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
C’è una madre che non potrà più essere madre, Cécile. E una donna che non è mai stata madre, ma che si ritroverà ad avere quel ruolo, Sandra. C’è un padre di sangue, David, e un padre di fatto, Alex, che sarà scaraventato in un duplice ruolo di padre e madre, a seguito della morte della sua compagna, Cécile appunto. Proprio nel momento in cui il suo fortissimo desiderio di paternità (anche) biologica verrà esaudito.
L’intricato gioco di ruoli che mette in scena Carine Tardieu, tratto dal romanzo “L’Intimité” di Alice Ferney, è in realtà tale soltanto nelle astrazioni concettuali, decisamente meno nella realtà filmica, in cui i personaggi sono ben delineati e caratterizzati e si muovono con coerenza in uno scenario in cui l’inverno della morte si affianca alla primavera di una nuova vita, nel contesto rigorosamente medio-borghese di tanta cinematografia francese.
Le matasse si dipanano fin da subito, da quando Cécile e Alex, nei primi minuti del film, lasciano il figlio di lei, Elliot, cinque anni, alla vicina Sandra per andare in ospedale, dove la coppia avrà una figlia, questa volta tutta loro. Cécile, tuttavia, non sopravvivrà alla nascita della piccola Lucille, lasciandone la gestione ad Alex, spaesato e affranto “mammo” suo malgrado. Ed è allora che il ruolo di Sandra, fino a quel momento soltanto poco più di una vicina di casa, verrà ridiscusso soprattutto per effetto dell’avvicinamento alla donna del piccolo Elliot, il primo degli attachement, degli “attaccamenti”, dei legami, degli affetti che la pellicola esplorerà, introducendo via via nuovi personaggi: David, il padre biologico di Elliot, finora assente, ma che si ripresenterà e avrà il suo piccolo momento di riscatto (il tema della paternità biologica e/o di fatto era al centro di un precedente, riuscito film di Tardieu, “Toglimi un dubbio”); e poi Emilia, nuova, effimera compagna di Alex, durata il tempo di una maternità andata male e di una forse troppo rapida presa di consapevolezza di una relazione nata evidentemente nel momento meno opportuno e nelle condizioni meno favorevoli.
Tardieu dipinge un dramma pacato e fatalista, che ha il principale merito di proporre personaggi in continua crescita, seppur attraversando situazioni talvolta poco nitide. La fugace infatuazione del neo-vedovo Alex per la vicina Sandra è ascrivibile a una confusa elaborazione del lutto, reiterando – ma abbandonando in fretta – un altro tema caro alla regista, quello dell’amore di un uomo più giovane per una donna più matura, che era centrale nel pur differente “I giovani amanti”, precedente lungometraggio della regista parigina.
Non del tutto a fuoco pare anche il rapporto che si instaura tra Alex ed Emilia, concluso forse un po’ sbrigativamente al gate di un aeroporto con una saracinesca che si abbatte – sempre in modo molto pacato, elegante, amichevole – su una relazione che non è mai decollata, a causa delle responsabilità che assillano Alex, da un lato, e dell’apparente incapacità per Emilia di raggiungere una condizione di serenità interiore, dall’altro.
La struttura a diario del film, con continue ellissi che seguono la crescita della piccola Lucille, dalla nascita ai due anni, forse non aiuta a rendere fluido il racconto. Eppure Tardieu ci crede fino in fondo a questa storia – e in fin dei conti riesce a farcela accettare anche a noi spettatori – coinvolgendo pienamente i suoi interpreti, perfettamente calati nei rispettivi ruoli, a partire da una Valeria Bruni Tedeschi libraia childfree, perennemente (e perfettamente) a disagio nel suo ruolo di madre “per procura”, che scopre tardivamente la gioia di una condizione mai cercata e forse rimpianta.
(…) Scandito dai cartelli che indicano l’età di Lucille, la neonata nata dal parto in cui Cecile ha perso la vita, L’Attachement – La tenerezza racconta l’incontro tra un gruppo di personaggi molto diversi tra loro accomunati dal bisogno d’amore. Per raccontare incontri, scontri, delusioni, fallimenti e speranze di un gruppo di francesi irrequieti e tormentati, Carine Tardieu costruisce una drammaturgia volatile, in continua trasformazione. Il film si apre aderendo al punto di vista di Sandra. In un certo senso è lei la protagonista della storia che però successivamente sposta il suo focus su Alex, sulle sue difficoltà di padre single alle prese con due bambini piccoli e sulla sua solitudine.A questa coppia impossibile, unita dalla vicinanza dei loro appartamenti e dall’amore per Elliott e Lucille, si aggiungono presto un manipolo di altri personaggi che creano scompiglio, ognuno con le sue peculiarità. Dalla suocera di Alex intervenuta per aiutarlo coi bambini, che piange in silenzio la figlia, al padre naturale di Elliott, l’affascinante scavezzacollo che ha il volto di Raphaël Quenard, amore di gioventù di Cecile, passando per l’ingombrante famiglia di Sandra, che appare di rado, ma non passa inosservata, fino alla bella pediatra Emilia (Vimala Pons), L’attachement si configura come una girandola di anime, di incontri, confronti e relazioni di un gruppo di uomini e donne alla ricerca di un pizzico di felicità tutta per loro.
Quella che si dipana dal nucleo de L’attachement è un’energia centrifuga. L’irrequietezza dei personaggi che si muovono alla ricerca di un posto nel mondo dà al film un andamento ondivago e a tratti disordinato. A confronti densi di significato si alternano pause riflessive in cui non sembra accadere poi molto. Carine Tardieu riflette sulla forza del sentimento, ma anche sui capricci del fato, che condiziona le esistenze a suo piacimento come si lamenta il povero Alex, che si sente “perseguitato” dalla cattiva sorte. Mentre i personaggi si confrontano, si amano e si lasciano al ritmo della placida esistenza borghese della provincia francese, di L’attachment ci rimane in mente soprattutto l’ultima scena in cui la libraia femminista, fieramente indipendente, forte, ma al tempo stesso fragile, gioca teneramente sul prato con Elliott e Lucille. Perché la maternità può non essere una scelta né una vocazione, ma una possibilità; perché possono essere i figli a insegnare cosa significa vivere a genitori e non in un film imperfetto, ma vibrante e vitale, che cresce dentro lo spettatore dopo la visione proprio come un bambino alla scoperta del mondo.
