Le Déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta

Gianluca Jodice

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Luigi XVI e Maria Antonietta vengono condotti alla Tour du Temple dove verranno rinchiusi in attesa del processo che poi li condurrà alla morte. Lo scorrere dei giorni fa emergere i diversi atteggiamenti nei confronti di quanto sta accadendo evidenziando i caratteri di ognuno. L'attesa di una fine ineluttabile letta indagando su ruoli pubblici e psicologie individuali. A Luigi XV viene attribuita la frase "Dopo di me il diluvio". Questa sembra poter essere la chiave di lettura di un film coraggioso come quello di Gianluca Jodice.
DATI TECNICI
Regia
Gianluca Jodice
Interpreti
Mélanie Laurent, Guillaume Canet, Aurore Broutin, Hugo Dillon, Tom Hudson, Roxane Duran, Anouk Darwin Homewood, Vidal Arzoni, Fabrizio Rongione
Durata
100 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Gianluca Jodice, Filippo Gravino
Fotografia
Daniele Ciprì
Montaggio
Giuseppe Trepiccione
Musiche
Fabio Massimo Capogrosso
Distribuzione
BIM Distribuzione
Nazionalità
Italia, Francia
Anno
2024

Presentazione e critica

Luigi XVI e Maria Antonietta vengono condotti alla Tour du Temple dove verranno rinchiusi in attesa del processo che poi li condurrà alla morte. Lo scorrere dei giorni fa emergere i diversi atteggiamenti nei confronti di quanto sta accadendo evidenziando i caratteri di ognuno. L’attesa di una fine ineluttabile letta indagando su ruoli pubblici e psicologie individuali. A Luigi XV viene attribuita la frase “Dopo di me il diluvio”. Questa sembra poter essere la chiave di lettura di un film coraggioso come quello di Gianluca Jodice. Il diluvio è la rivoluzione e ciò che essa causa negli atteggiamenti e nelle psicologie della coppia reale e di chi l’accompagna verso quella lama che, prima o poi, taglierà le loro teste. Jodice manifesta coraggio innanzitutto nell’andare a scavare in profondità nelle psicologie di due personaggi storici che appartengono alla cultura francese che sappiamo quanto sia gelosa del proprio patrimonio storico (molto più di alcuni italiani nei confronti di Enzo Ferrari).

Altrettanto coraggio mette in gioco in un film tripartito in cui, in ognuno dei capitoli, utilizza la camera e le luci in maniera diversa ottenendo un risultato estetico di tutto rilievo. La scelta poi di basarsi sui diari di Cléry, valletto del re a cui venne concesso di accompagnare la famiglia reale nella detenzione, offre lo spunto per uno sguardo dall’interno per un film che inizia dove solitamente tutti gli altri che si sono occupati di questo re e di questa regina si avvicinano alla conclusione. Grazie alle consistenti protesi che lo rendono irriconoscibile Guillaume Canet offre al suo Luigi la possibilità di affrontare con innumerevoli sfumature la trasformazione da maschera a volto. Lo si osservi nella sequenza iniziale quando scende dalla carrozza già prigioniero ma sentendosi ancora re sia nell’incedere che nella possibilità di non usare parole per far valere la propria autorità. Lo si segua poi nei momenti che ce lo mostrano infantile, nei tentativi di negare la realtà per poi osservarne le posture finali.

La Maria Antonietta di Melanie Laurent è distante anni luce da quella di Sofia Coppola. È una donna consapevole del proprio ruolo e della propria distanza dal popolo anche se pronta a pesanti compromessi pur di ottenere quanto ritiene indispensabile. Il suo rapporto con il marito è quello di chi ha saputo quasi da subito che la parola amore non avrebbe fatto parte del lessico familiare e ha compreso che le parrucche elaborate che si indossano all’epoca coprono pensieri che difficilmente si possono condividere. Ciò che in più colpisce, per l’attenzione con cui sono stati cesellati, sono i rivoluzionari ad ognuno dei quali, anche per i ruoli minori, viene data la caratterizzazione di chi si trova dinanzi a una realtà così inattesa e fuori misura da richiedere comportamenti e reazioni mai sperimentate. La sequenza iniziale, che come composizione dell’inquadratura ricorda il cinema di Eric Rohmer, è emblematica in questo senso. Il procuratore incaricato dal comitato rivoluzionario di accogliere il re al suo arrivo in detenzione ripassa, con numerose incertezze, il discorso che intende pronunciare. Si propone così, sin da subito, un’ulteriore cifra di lettura del film. Ognuno, in quei giorni, deve provare ad imparare un nuovo approccio ad una realtà che corre veloce. Non importa che sia sanculotto o re.

 

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Le Déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta, meriterebbe molta attenzione. La meriterebbe per la capacità di Gianluca Jodice, che dirige e scrive insieme a Filippo Gravino, di sintetizzare al meglio il cinema dello spazio scenico, in un riverbero narrativo di incredibile attualità (rifacendosi ai dipinti del Settecento). Cento minuti precisi, che tra l’altro vantano come produttore associato pure Paolo Sorrentino, per un legame tra Italia e Francia che punta, decisamente, alla qualità. Più semplicemente, Le Déluge meriterebbe attenzione anche perché, banalmente, è un film estremamente cinematografico (presentato a Locarno ma, con tutto il rispetto, avrebbe meritato la Mostra del Cinema di Venezia) nella sua declinazione demure, come direbbero coloro più avvezzi agli inglesismi.

Non è scontato, oggi, puntare al cinematismo assoluto, in quanto spesso si suggerisce appena invece che raccontare per davvero, preferendo la sintesi all’approfondimento (un approfondimento legato al racconto, non alla veridicità dei fatti, sia chiaro). Opera seconda per Jodice, dopo aver rivisto D’Annunzio ne Il cattivo poeta (e dopo diversi documentari e corti), il suo è un film tutto d’un pezzo, pur volutamente e intelligentemente diviso in tre atti, ponendo la luce “sull’Apocalisse” intima dei suoi personaggi, resi archetipici nonostante si racconti, a volte in modo splendidamente visionario e metafisico, la sanguinosa caduta della monarchia nella Francia delle parrucche e delle ghigliottine. Che sia un ottimo film lo capiamo, appunto, fin dall’inizio: l’immagine, austera eppure colma di luce e spazio, ci porta all’interno della Tour du Temple. Siamo nel 1792, quando Maria Antonietta e Luigi XVI vengono scortati e rinchiusi nel palazzo in attesa del loro definitivo destino. Sono gli ultimi giorni di una monarchia merlettata e sgargiante, che un certo cinema ha rivisto nobilitando e romanticizzando dettami e immaginari. Eppure no, quella di Jodice ne Le Déluge è una caduta a tutti gli effetti. Un punto di vista nuovo, prendendolo letteralmente di petto: in un tempo che sembra rarefatto e immobile, viene riletta in modo puntuale la psicologia dei due reali, simboli di un regno mascherato, e mai tanto distante dal popolo. Fa quindi specie, oggi, sentire politici e politicanti parlare di “sovranità da difendere”, se pensiamo alla sovranità capitolata di coloro rimasti aggrappati al trono, segnando di fatto il passaggio tra l’Ancien Régime e l’epoca moderna. In questo senso, cos’è la sovranità? A chi spetta? Ai re? Ai capi di Stato? Oppure invece spetta al popolo stesso, committente e mai servo del governo? Se propendiamo decisamente per l’ultima opzione, ci accorgiamo anche di quanto il cinema stia virando sempre più verso accenti politici, utilizzando icone e metafore per parlare in modo chiaro del presente. Per questo, Le Deluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta, smarcandosi agilmente dal dramma storico, diventa invece un riflesso novellizzato di un’epoca di transizione, riassunta in un film concepito dal regista seguendo tre atti: gli dei, gli uomini, i morti. Una voglia dettata poi da un successivo cambio di messa in scena: cambia la luce, diventando via via sempre più nera; cambia la scenografia, più sparuta, ormai decadente, e cambia l’approccio di Jodice rispetto alle figure protagoniste, facendole diventare quasi delle ombre appartenenti a un tempo già passato in attesa di un imminente rinnovamento (con un ruolo importante affidato alla colonna sonora di Fabio Massimo Capogrosso, in evoluzione rispetto ai tre atti). Una contrapposizione fluida, quasi organica, rispetto alla sceneggiatura, coraggiosa e meticolosa nello scandire i passaggi drammaturgici di una storia dai riverberi contemporanei: una disamina sussurrata ma potente di quanto un certo potere sia lontano dal popolo stesso, scoordinato rispetto ai bisogni primari fagocitati dai dogmi di uno status quo in attesa di essere, di nuovo, ghigliottinato. Ed è emblematico che il passaggio storico rivisto e raccontato da Gianluca Jodice sia quello che, di fatto, ha aperto la prima pagina della Storia per come la conosciamo: un passaggio che smaschera(va) i limiti della sovranità, ma smaschera anche i limiti di una rivoluzione sociale e antropologica che, decapitando il Re e la Regina, ha anche legittimato la violenza politica di cui siamo adesso attoniti e impauriti spettatori.

 

 

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