L’isola degli idealisti

Elisabetta Sgarbi

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Guido e Beatrice sono due ladri che stanno cercando di sfuggire alla cattura da parte della polizia e che sono sottoposti alle non amichevoli attenzioni di un boss malavitoso. Raggiungono nottetempo un'isola su cui sorge un'ampia villa abitata dalla famiglia Reffi. Ognuno dei componenti ha una passione particolare. C'è chi è stato direttore d'orchestra; chi, un tempo medico, ora sviluppa il suo interesse per la matematica; chi scrive romanzi e chi vorrebbe saperli scrivere. Tra il gruppo e la coppia si ingaggia una scommessa: chi abita la villa pensa di riuscirne a cambiare le attitudini. In quel caso non si provvederà a denunciarli alle forze dell'ordine.
DATI TECNICI
Regia
Elisabetta Sgarbi
Interpreti
Tommaso Ragno, Elena Radonicich, Michela Cescon, Renato Carpentieri, Renato De Simone, Tony Laudadio, Mimmo Borrelli, Vincenzo Nemolato, Chiara Caselli, Antonio Rezza
Durata
114 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Elisabetta Sgarbi, Eugenio Lio
Fotografia
Andrés Arce Maldonado
Montaggio
Andrés Arce Maldonado
Musiche
Michele Braga
Distribuzione
Fandango Distribuzione
Nazionalità
Italia
Anno
2023

Presentazione e critica

Non ho mai ospitato ladri braccati dalla polizia”, dice il pensoso Celestino uno dei due figli, con la sorella scrittrice Carla, del gioviale ex direttore d’orchestra Antonio Reffi proprietario di una magnifica villa sulla nebbiosa e fredda Isola della ginestra, al centro di un lago. Siamo a gennaio, negli anni Sessanta, nel raffinato noir L’isola degli idealisti, scritto (con Eugenio Lio), diretto e prodotto da Elisabetta Sgarbi, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore milanese nato a Kiev Giorgio Scerbanenco. .

Celestino si sta rivolgendo ad una giovane coppia di ladri d’albergo che si è rifugiata nell’isola, braccata dalla polizia e ora sorpresa dal guardiano Giovanni e dal cane dobermann Pangloss: l’arrogante giocatore d’azzardo Guido e la sensuale Beatrice. Ex medico, ossessionato da una violinista di cui riguarda le immagini in super8, il pensoso Celestino propone alla coppia un patto bizzarro, certo di poter cambiare la loro vita. Non verranno denunciati al Commissario Carrua che è già sulle loro tracce, se in cambio si sottoporranno ad un esperimento di “rieducazione”. I due, che in realtà si stanno nascondono ad un losco creditore chiamato Monsiù accettano di buon grado, con l’intenzione di manipolare la famiglia e rubare quel che possono da quella villa ricca di opere d’arte.

Diversi sono stati i film tratti dai libri di Scerbanenco, uno degli autori più

influenti del noir italiano, in particolare dalla celebre quadrilogia di Duca Lamberti. La morte risale a ieri sera di Duccio Tessari è considerato uno dei migliori esempi di noir all’italiana, I ragazzi del massacro di Fernando Di Leo è stato uno dei primi e più fedeli adattamenti delle atmosfere scerbanenchiane mentre il celebre Milano calibro 9 del 1972 è diventato un classico del poliziesco italiano (con la colonna sonora di Ennio Morricone) incidendo profondamente nell’immaginario noir successivo.

Scritto tra il 1942 e il 1943, ritrovato dagli eredi e pubblicato solo nel 2018 da La Nave di Teseo fondata da Elisabetta Sgarbi con Umberto Eco, L’isola degli idealisti gettava soltanto i semi di quella durezza sociale e quella tensione, espresse dai dialoghi taglienti, per le quali i romanzi successi saranno così apprezzati. Lo stesso personaggio di Celestino non è altro che un abbozzo di quello che sarà Duca Lamberti, medico radiato dall’albo per aver praticato un’eutanasia e che aiuta la legge nelle indagini più difficili. Ma la regista lo ha scelto probabilmente per la sua distanza dal noir puro e per quella propensione a raccontare la classe borghese agiata che si misura con una generazione di “senza tetto né legge”, con la pretesa idealistica e illusoria di offrirle redenzione. E spostando lo sguardo sull’affascinante e ambigua figura femminile di Beatrice e sulle donne che vivono sull’isola, in metaforico isolamento. Non c’è il feroce realismo urbano che caratterizza i film tratti da Scerbanenco, ma una pura riflessione sulla responsabilità e la possibilità di cambiare e diventare qualcosa di diverso, in un gioco delle parti recitato volutamente in una forma che ne custodisca la provenienza letteraria.

 

Cineuropa

Guido e Beatrice sono due ladri che stanno cercando di sfuggire alla cattura da parte della polizia e che sono sottoposti alle non amichevoli attenzioni di un boss malavitoso. Raggiungono nottetempo un’isola su cui sorge un’ampia villa abitata dalla famiglia Reffi. Ognuno dei componenti ha una passione particolare. C’è chi è stato direttore d’orchestra; chi, un tempo medico, ora sviluppa il suo interesse per la matematica; chi scrive romanzi e chi vorrebbe saperli scrivere. Tra il gruppo e la coppia si ingaggia una scommessa: chi abita la villa pensa di riuscirne a cambiare le attitudini. In quel caso non si provvederà a denunciarli alle forze dell’ordine.

Da un romanzo di Scerbanenco rimasto a lungo inedito un film volutamente raggelato dalla freddezza di personaggi portatori di ideali ormai sterili.

Valutare un film diretto da Elisabetta Sgarbi con i criteri che si utilizzano di solito finisce con il non focalizzare del tutto l’idea di cinema che li sottende. Sgarbi da sempre ha operato sulla ricerca facendo di ogni sua opera (corta o lunga che fosse) un’occasione per sviluppare un’indagine che andasse dalla superficie alla profondità, fosse essa di un quadro o di un testo. È ciò che fa anche in questo film a partire dall’intervento che lei ed Eugenio Lio hanno operato su un romanzo scritto negli anni’40 da Giorgio Scerbanenco, ritrovato dagli eredi e pubblicato nel 2018 da La Nave di Teseo, casa editrice di cui Elisabetta Sgarbi è l’anima nonché il direttore generale.
Ne hanno spostato l’azione sul finire degli anni ’60 (su una pagina di giornale per un istante sembra di leggere il nome di Valpreda) e il loro intervento è sui personaggi (non sulle persone) che lo scrittore ha immaginato. Di personaggi si tratta perché ognuno (tranne la coppia di ladri) incarna, o pretende di incarnare, un ideale a cui ha dedicato o sta dedicando la vita.
Tutto però è rigidamente ancorato all’interno di uno schema algido ed è questa freddezza che viene volutamente conferita alla recitazione degli attori che denunciano la loro derivazione letteraria non per una mancanza di consapevolezza da parte degli sceneggiatori ma proprio (questo è ciò che si coglie) per sottolinearne l’artificiosità del pensiero e quindi delle vite.
A partire dall’ex direttore d’orchestra che ora dirige senza bacchetta i dischi sino ad arrivare all’ex medico che pretende di insegnare i numeri al proprio cane che si chiama Pangloss (con un evidente ed allusivo riferimento al Candido di Voltaire) tutti (commissario di polizia compreso) ‘recitano’ la parte che si sono assegnata o che vorrebbero vedersi assegnare (v. lo scrittore mancato) tranne, da un certo punto in avanti, la cameriera. Il gioco che si innesca si risolve con una scommessa di riuscire a cambiare la parte in commedia (come si sarebbe detto un tempo) ai due ladri mutandone le aspirazioni.

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