Marina (Sic@Sic)

Paoli De Luca

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Premio Miglior Cortometraggio e Premio miglior contributo tecnico - Settimana della Critica 2025

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Marina, un anno dopo aver iniziato la sua transizione di genere, passa un weekend estivo a casa dell’amica Camilla. Tutti dicono a Marina quanto sia diventata bella, ma lei non si vede così, anzi, sente un confronto costante con il corpo di Camilla, che osserva e che ritrae sul suo taccuino. L’arrivo in casa di un’impetuosa presenza maschile, quella di Lorenzo e dei suoi amici, metterà a dura prova Marina, Camilla e la loro amicizia. Una sirena tra sogni ed ombre.
DATI TECNICI
Regia
Paoli De Luca
Interpreti
Silvia Ella Fois, Eco Andriolo, Giovanni De Maria, Christian Carere, Dario Naglieri
Durata
19 min
Sceneggiatura
Federico Amenta, Paoli De Luca, Giulio Pacini
Fotografia
Francesca Avanzini
Montaggio
Marco Balzano
Musiche
Giuliano Cau, Alessio Damiani
Distribuzione
The Open Reel [Italia]
Nazionalità
Italia
Anno
2025

Presentazione e critica

“Guardami”, e poi “Guarda lì”. Inizia con uno sguardo vacante, ma anche con un leggero diktat impositivo Marina, il cortometraggio prodotto nel secondo anno del Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma e diretto da Paoli De Luca che prende parte al concorso SIC@SIC (pensato per i lavori sulla breve distanza) della Settimana Internazionale della Critica di Venezia. Quei due impliciti inviti a guardare li lancia Camilla all’amica Marina, che da un anno ha iniziato la transizione di genere: le due si stanno scattando delle fotografie col cellulare, mentre si trovano a bordo piscina prima di tuffarsi in acqua. Proprio il dettaglio dei riflessi sull’acqua ha inaugurato il corto, anticipata l’immagine dal suono inconfondibile dello sciabordio, quel lento gorgoglio che accompagna il muoversi nell’elemento liquido. Anche Marina si sta agitando in quell’elemento, per trovare la sua forma “definitiva” – sempre che essa possa esistere – e aprirsi al mondo, dopo un anno trascorso a mo’ di crisalide, confrontandosi con un’identità a cui abbarbicarsi, considerandola completamente propria. Il tema dell’identità sembra appartenere in modo naturale a De Luca, e si faceva largo tra le pieghe del racconto già nel precedente Star, a sua volta condotto in porto all’interno dei lavori scolastici del CSC: lì l’aspirante attrice Chiara doveva tentare di scoprire quale verità attribuire alle battute imparate per un provino, fingendo una storia d’amore. Di nuovo, ancora, guardami. Lo pretendeva il regista alla sua provinata in Star e lo chiede Camilla a Marina, come se nell’atto di guardare vi fosse già il germe del conoscimento, della possibilità di compenetrare l’altro-da-sé e forse finanche di comprenderlo visceralmente. A sua volta, coerentemente, l’occhio/camera di De Luca non si discosta per un istante dai volti e dai corpi delle sue due protagoniste (ottima l’alchimia tra Silvia Ella Fois ed Eco Andriolo, rispettivamente Marina e Camilla), si incolla ai visi, lavora di dettaglio, le insegue perfino negli angoli di specchio.

Non teme i corpi, la regia di De Luca. Al contrario, trova in essi e nelle loro (im)perfezioni il grimaldello per scardinare l’ovvietà della ripresa, il codice di riferimento di un genere – il coming-of-age, in ogni caso storicamente poco battuto dalla produzione nazionale – che è per sua stessa conformazione il racconto di una contraddizione, dell’impeto a una crescita che rappresenta anche il confronto spietato con sé e la propria ima identità. La dialettica sul femminile che è insita nella rappresentazione duale di Marina – femminile in divenire – e Camilla – femminile di natura, sotto il profilo meramente biologico – si squaderna in una forma molteplice con l’avvenire in scena di una componente maschile che trascina con sé il caos, l’accelerazione degli eventi, e (forse) il trauma. La naturalezza con cui De Luca riesce a tratteggiare il disegno di una serata di festa – mesta – dimostra la cifra autoriale del progetto, e di una filmografia giovane e a sua volta in continua evoluzione; si avverte l’eco di un certo cinema francese contemporaneo, da Céline Sciamma ai suoi epigoni più o meno convincenti, ma anche la voglia di lavorare sull’elemento puro per elevarlo al grado di exemplum. Se è errato affermare che De Luca tratti i suoi corpi in scena come oggetti, non è altrettanto disdicevole ragionare sulle modalità con cui a divenir personaggi sono anche i luoghi, e le sostanze di cui sono fatti (i sogni, chioserebbe Prospero): l’acqua, il sole magari morente, ma anche oggetti come il quadernino su cui incessantemente Marina disegna la sua amica, rilasciando al foglio di carta il desiderio di essere già stato altro, al di là di ciò che porterà con sé il futuro. In questo senso il risveglio del giorno successivo, quando l’orda barbarica e testosteronica ha di nuovo lasciato da sole le due ragazze, rappresenta l’apice di Marina, e pare anche contenere nei suoi pochi minuti il senso ultimo e profondo del lavoro diretto da De Luca. L’eccitazione è scemata, lasciando qualche bottiglia di birra abbandonata al suo triste destino, ma c’è ancora l’acqua, c’è la piscina, c’è quell’elemento di nascita, rinascita e trasformazione che connota senza forma, e nel quale ci si può immergere per rigenerarsi. E allora non ha più neanche senso il montaggio, ma solo un allontanarsi progressivo della camera per donare finalmente totalità a Camilla e Marina, in un luogo che dominano pur essendo dominate dallo sguardo di chi dirige. “Guardami”, sembra dichiarare l’immagine allo spettatore. Emergendo dalla visione di Marina si avverte forte l’impressione di essersi imbattuti in uno sguardo che segnerà con pervicacia l’immaginario giovane italiano dei prossimi anni.

Quinlan

Il film, delicato e al tempo stesso incisivo, si presenta come un vero e proprio coming of age che mette al centro temi universali e profondamente attuali. Marina non racconta soltanto la storia di una giovane donna alle prese con il proprio percorso identitario, ma affronta con sensibilità l’amicizia, la crescita e la difficoltà – o la bellezza – di riconoscersi attraverso lo sguardo degli altri e davanti allo specchio. La regista riesce a catturare quei momenti in cui la percezione di sé viene filtrata da chi ci circonda, restituendo la tensione tra ciò che si è, ciò che si vorrebbe essere e ciò che gli altri vedono.

Lo sguardo cinematografico alterna atmosfere intime, fatte di silenzi e dettagli, a improvvise ondate di tensione emotiva, che nascono dal confronto con gli altri e con i propri fantasmi interiori. Lo stile è essenziale ma mai banale: pochi minuti di narrazione bastano a costruire un microcosmo credibile e pulsante, dove ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo assume un peso specifico.

In questo senso, il corto di Paoli De Luca diventa un piccolo laboratorio di linguaggio cinematografico, capace di trasmettere emozioni autentiche e universali, restituendo la fragilità e la forza che accompagnano il percorso di crescita.

Uno degli elementi più riusciti del cortometraggio è senza dubbio l’uso delle immagini e del sonoro: ogni inquadratura appare pensata per comunicare sensazioni precise, mentre il ritmo si mantiene sempre coerente con la delicatezza del racconto.

Durante la nostra intervista, la regista ha sottolineato come il corto nasca da un’urgenza personale. Una necessità di parlare di giovani, di pubertà in un contesto naturale.

Un corto, dunque, che non nasce dall’esigenza di parlare della transizione di genere. <<La transizione è un argomento sdoganato, che può risultare a tratti didascalico.>>

<<Il desiderio è stato molto influenzato dalla scelta del luogo. L’acqua, la natura ma anche la casa>>. Infatti, come spiega De Luca: <<volevo un non-luogo, che fosse anche protagonista>>. Non si tratta soltanto di uno sfondo, ma di un vero e proprio protagonista silenzioso. Questo ambiente quasi sospeso nel tempo, diventa specchio delle emozioni di Marina, delle sue insicurezze e dei suoi desideri. La villa nell’oasi quasi deserta, dove non si sa cosa vi è attorno a essa. La regista ci racconta come l’obiettivo era creare un luogo che fosse quasi una zona liminale in cui avviene qualcosa e vi è un elemento di crescita.(…)

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