Mauro Corona – La mia vita finché capita

Niccolò Maria Pagani

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"Qui giace Mauro Corona, uomo iniquo e perverso. Pregare per lui è tempo perso". Mauro Corona, scrittore, scultore e alpinista, conosciuto dal grande pubblico per la sua presenza al talk-show "Carta bianca" condotto da Bianca Berlinguer, viene mostrato sotto una prospettiva più intima, nella quotidianità delle sue giornate quando si sposta, per esempio, con la sua Fiat Panda per le strade di Erto o mentre si trova nella sua abitazione. In un viaggio avanti e indietro nel tempo, ripercorre alcuni momenti più importanti della sua vita, partendo dall'infanzia difficile ed evidenzia il profondo legame che ha con il territorio e le sue passioni personali. Come lui stesso ha affermato, è composto da tre dna; la manualità l'ha ereditata dal nonno, la passione per i libri dalla madre e la vita all'aria aperta dal padre.

DATI TECNICI
Regia
Niccolò Maria Pagani
Interpreti
Giancarlo Giannini, Erri De Luca, Piero Pelù
Durata
70 min
Genere
Documentario
Sceneggiatura
Niccolò Maria Pagani
Fotografia
Luca Da Dalt
Montaggio
Niccolò Maria Pagani
Distribuzione
Wanted Cinema
Nazionalità
Italia
Anno
2024

Presentazione e critica

“Ho tolto la maschera perché non voglio più essere frainteso. Questa è la mia casa, la mia vita fatta di spigoli, inciampi, libri, legno, scalate. Entrate, se volete.”.

Mauro Corona decide di mettersi a nudo nel documentario di Niccolò Maria Pagani, che non si accontenta di intervistarlo, ma sceglie di abitare il suo mondo, trasferendosi per sette mesi nel ventre roccioso di Erto Vecchia. Il regista cerca l’anima segreta della valle del Vajont e la trova nel volto scolpito e nella voce ruvida di Corona. Scultore, scrittore, scalatore friulano, ma prima di tutto testimone, Corona ricostruisce, con parole, silenzi e memorie, un paesaggio umano e geologico fatto di tragedie collettive e ferite personali. Rievoca la dolcezza della giovinezza, la violenza della famiglia, l’amore e la natura, delineando non soltanto se stesso ma un’intera visione del mondo.

Truffaut diceva che “l’adolescenza lascia un buon ricordo solo agli adulti che hanno una pessima memoria” ma quella di Corona sembra funzionare perfettamente e a detta sua, se esiste qualcosa che può sostituire l’amore, questa è la memoria. Lo sguardo di Pagani si infila in questa memoria e il regista corre il rischio di raccontare la vita di un artista materico, fisico, ruvido come il legno che scolpisce. E finisce col consegnarci un film che, sì, abbraccia tutti gli stereotipi del genere, come l’artista solitario che rifiuta le regole della società, ma lo fa con una tale onestà narrativa da non risultare mai manierista. Perché al centro c’è lui, Mauro Corona, che non interpreta se stesso ma lo incarna. E nel suo dire schietto, nei suoi silenzi, nelle sue lacrime trattenute da troppi anni, il documentario trova accenti di verità che spiazzano. “Mio padre menava forte. Dov’è adesso spero stia bene, ma se potesse vedere cosa ha fatto su questa terra non si darebbe pace.”

Mauro Corona – La mia vita finché capita è assieme il ritratto di un uomo e della montagna che lo contiene, lo plasma, lo osserva. L’opera, sospesa tra ritratto intimo e affresco paesaggistico, richiama a tratti la lezione cinematografica di Franco Piavoli con la sua contemplazione del tempo naturale, e si concede un impostazione nemmeno troppo lontana dal pensiero filmico dello storico cineasta Chris Marker: “Non sono la camera e lo stile a fare un documentario, ma la parola e l’immagine, lo spazio e il tempo, intesi come atto di memoria.”
Niccolò Maria Pagani sceglie di raccontare la vita di Mauro Corona attraverso diverse modalità espressive, a partire dalla sua voce diretta mentre esegue i gesti quotidiani. Lo vediamo scolpire, camminare sui sentieri e addirittura scalare pareti rocciose. Ma si lascia soprattutto attraversare da un flusso di ricordi, punteggiato da dialoghi intensi e affettuosi con alcuni dei suoi amici storici, come lo scrittore Erri De Luca, i musicisti Davide Van De Sfroos e Piero Pelù. Li vediamo conversare davanti a una bottiglia di vino e con una chitarra in mano, queste chiacchierate si intrecciano con alcune delle pagine più significative dei suoi libri, in particolare “Le altalene” lette in voice over da Giancarlo Giannini, che regala forse l’unico controcanto narrativo ad un film che tende a suonare su un’unica corda emotiva, senza particolari guizzi formali o variazioni di ritmo.

Sentieriselvaggi

“Qui giace Mauro Corona, uomo iniquo e perverso. Pregare per lui è tempo perso”. Mauro Corona, scrittore, scultore e alpinista, conosciuto dal grande pubblico per la sua presenza al talk-show “Carta bianca” condotto da Bianca Berlinguer, viene mostrato sotto una prospettiva più intima, nella quotidianità delle sue giornate quando si sposta, per esempio, con la sua Fiat Panda per le strade di Erto o mentre si trova nella sua abitazione. In un viaggio avanti e indietro nel tempo, ripercorre alcuni momenti più importanti della sua vita, partendo dall’infanzia difficile ed evidenzia il profondo legame che ha con il territorio e le sue passioni personali.

Come lui stesso ha affermato, è composto da tre dna; la manualità l’ha ereditata dal nonno, la passione per i libri dalla madre e la vita all’aria aperta dal padre. C’è solo un momento in cui la sua immagine diventa pubblica ed è quello in cui si sta collegando con “Carta bianca”. Per il resto Mauro Corona – La mia vita finché capita è soprattutto una lunga confessione a cuore aperto, tra problemi privati (quelli di salute dei figli che gli hanno impedito di andarsene) e le violenze subite dalla madre e tragedie che hanno colpito il suo territorio come il disastro del Vajont del 1963 di cui porta ancora degli indelebili segni nella sua memoria. Inframmezzato dalle conversazioni/duetti con Piero Pelù (che lo definisce ‘un metallaro’ e ‘un’anima blues’), Davide Van De Sfroos ed Erri De Luca (coetaneo di Corona, essendo entrambi nati nel 1950), porta alla luce parte del Corona-pensiero, dal concetto di reputazione, al rapporto con la paura fino all’ombra della morte, già annunciata da quel beffardo epitaffio sui titoli di testa.

Questa prende forma soprattutto nei momenti toccanti in cui passa davanti le abitazioni degli amici che non ci sono più e di fronte alla tomba della madre. Il ricordo diventa parte integrante del documentario. Nei suoi discorsi viene anche omaggiato Mario Rigoni Stern (“il più grande filosofo del pianeta” lo ha definito Corona). E sono le rughe sul suo viso ma anche la brillantezza del suo sguardo che mostrano il suo continuo rapporto col tempo, tra passato e presente, tra “gli ostacoli su un sentiero che oggi vengono aggirati e non più saltati”, le arrampicate sulle rocce e il legame con gli amici con cui gioca a morra cinese.
Diretto da Niccolò Maria Pagani che ha seguito Corona per sette mesi, tra riprese e montaggio, nella vallata di Erto dove vive, rivela il lato più autentico e meno provocatore del personaggio. I testi sono tratti dal suo romanzo “Le altalene”, pubblicato da Mondadori nel 2023 in cui lo scrittore si lascia andare al flusso dei ricordi.

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