Vladlena Sandu
DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Nazionalità
Anno
Attività
Presentazione e critica
La ricostruzione del passato come atto terapeutico nei confronti della propria coscienza. È questo, in larga parte, ciò che la cineasta ucraina Vladlena Sandu (nata in Crimea, ma cresciuta in Cecenia a Groznyj) ha deciso di fare con il suo lungometraggio d’esordio, Memory, scelto come film d’apertura della 22ª edizione delle Giornate degli Autori a Venezia.
Unendo registri espressivi diversi – tra cui l’utilizzo, di stampo documentaristico, del materiale d’archivio insieme a una forma di re-enactment in chiave installativa, affidato a un ristretto gruppo di attori – la regista racconta i suoi anni d’infanzia, trascorsi tra la dissoluzione dell’Unione Sovietica e l’inizio della Prima Guerra Cecena (1994-1996), costata la vita a più di 100.000 civili. Il commento in voice-over della stessa Vladlena Sandu accompagna e approfondisce il racconto, dando ulteriore spessore psicologico alle sequenze “recitate” dei suoi ricordi di bambina, che si intrecciano alla descrizione del contesto politico-sociale degli ultimi anni del regime sovietico: un periodo in cui i ritratti dei leader del passato appaiono come dei fantasmi di un’epoca già percepita come conclusa, nonostante la loro onnipresenza. Fin da subito, emerge la distanza siderale tra il concetto di educazione legata ai valori del PCUS e la voglia di indipendenza della giovane protagonista, che trova nel campo delle arti creative (e nella sala cinematografica) il suo locus amoenus, dove viaggiare liberamente con la fantasia lontano dal grigiore ministeriale del sistema scolastico sovietico. Questo aspetto viene ribadito anche nelle sezioni dedicate al racconto familiare, che evidenziano una netta disparità di ideali tra le generazioni, come dimostra la ricca aneddotica legata alla figura del nonno della regista.
Ma ciò che colpisce maggiormente in Memory è la propensione a trattare la delicata questione dell’infanzia sotto le bombe con uno sguardo privo di giudizi sugli schieramenti coinvolti, mostrando la guerra per ciò che è veramente: un incessante spargimento di sangue e di corpi, di fronte al quale qualsiasi discorso morale sul “valore” militare perde significato, annullato dall’insensatezza della follia umana che spinge l’individuo a eliminare i propri simili.
L’ampia porzione dedicata ai ricordi della cineasta durante il conflitto in Cecenia è significativa di ciò, in quanto l’utilizzo delle immagini provenienti dai campi di battaglia dell’epoca viene reso funzionale all’elaborazione del trauma passato dalla popolazione russa tout court, facendo coincidere l’aspetto personale con quello storico. Il discorso si amplia ulteriormente con la riflessione sulle varie “gioventù” militaresche di cui anche la stessa generazione di Vladlena Sandu ha fatto parte, rientrando nell’ambito della formazione bellica dei bambini di memoria novecentesca (come dimostrano le fotografie).
In generale, quello che si prova maggiormente durante la visione del film è la sensazione di assistere a una lunga sessione autopsicanalitica, dove la cineasta sembra cercare di esorcizzare il suo dolore servendosi di un montaggio che accosta diverse fotografie e diapositive allo scenario descritto da lei stessa in voice-over, ricalcando in questo il lavoro compiuto da Chris Marker in La jetée.
Al di là di una vena sperimentalista forse troppo invadente in alcune sezioni e di qualche ridondanza di troppo, l’opera prima di Vladlena Sandu lancia un segnale forte e chiaro all’indirizzo di tutti i governi del mondo, invitandoli a ragionare sulle conseguenze umane della guerra in un momento come quello attuale, purtroppo sempre più segnato dalla presenza di quest’ultima nel dibattito politico internazionale.
Memory, lungometraggio d’esordio di Vladlena Sandu e film d’apertura della 22ª edizione della sezione autonoma Giornate degli Autori è una rievocazione autobiografica che mette in evidenza la vena sperimentale della regista. Una sorta di autoanalisi per rielabora i traumi dovuti ai segni della guerra.
Un’opera potente e poetica che affronta la delicata questione dell’infanzia sotto le bombe con uno sguardo ibrido, capace di passare con efficacia dal rigore documentaristico (un patchwork di fonti e materiali d’archivio) a un radicale straniamento. Il commento in voice-over della stessa Sandu che accompagna la narrazione si intreccia alla descrizione del contesto politico-sociale degli ultimi anni del regime sovietico dove i ritratti dei leader del passato appaiono come dei fantasmi. Le narrative ufficiali e le dottrine imposte si sgretolano mentre prende forma una coscienza individuale capace di affermarsi.
L’angoscia per la volontà di spersonalizzazione del regime si scontra con la forza generatrice della protagonista che, con un intenso e inquietante sguardo in macchina sembra chiederci conto delle atrocità della guerra. La sequenza finale con le fotografie dei bambini mutilati è un colpo al cuore che sanguina come una feria aperta. L’assurdità dei conflitti è tutta lì in quegli sguardi persi che hanno smarrito l’innocenza. Memory è un documento-manifesto contro la cultura della violenza e della sopraffazione, che si interroga su come riuscire a spezzare quel meccanismo atavico fatto di dominio e oppressione, capace di plasmare i bambini e di trasmettersi di generazione in generazione.