Roqia

Yanis Koussim

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1993. A seguito di un incidente d’auto che gli ha causato un’amnesia, Ahmed torna al suo villaggio natale, dove nulla gli appare familiare, né la moglie né i figli. Il più piccolo, spaventato dal volto bendato di Ahmed, lo teme profondamente. Ogni notte, strani visitatori sussurrano litanie in una lingua sconosciuta. Chi sono? Perché il vicino di casa, un cosiddetto amico, lo inquieta? Ai giorni nostri, un Raqi ormai anziano lotta contro l’Alzheimer. Il suo discepolo di preoccupa per lui: alla tremante mano destra di Raqi manca proprio il dito indice. Mentre le persone possedute continuano a parlare in lingue misteriose e la violenza si diffonde, Ahmed ha paura di riacquistare la memoria, mentre il discepolo teme che il declino del suo maestro possa scatenare un male atavico.
DATI TECNICI
Regia
Yanis Koussim
Interpreti
Ali Namous, Akram Djeghim, Mostefa Djadjam
Durata
89 min.
Genere
Horror
Sceneggiatura
Yanis Koussim
Fotografia
Jean-Marie Delorme
Montaggio
Sarah Zaanoun, Maxime Pozzi-Garcia
Nazionalità
Algeria, Arabia Saudita, Francia, Qatar
Anno
2025

Presentazione e critica

Se c’è un elemento che L’esorcista e i suoi sequel hanno reso dogmatico nell’universo del cinema horror, quello lo potremmo rintracciare nella configurazione, della teologia cattolica, come un viatico di purificazione da tutto ciò che è considerato diverso o impuro. Nella magnum opus di William Friedkin – e negli innumerevoli testi che ne sono derivati, si pensi alla saga de Il presagio – le grammatiche, le liturgie e i rituali di connotazione cristiana sono stati di volta in volta strumentalizzati sì per catechizzare l’altro o per instillare un paradigma di “buone e sane virtù” nei cuori di coloro che si erano improvvisamente inabissati nell’oblio dell’amoralità/mostruosità: ma in particolare hanno tracciato una linea di demarcazione etica tra chi si caricava del compito di espellere il maligno dai corpi altrui (i “giusti” e retti) e i personaggi/mostri che si erano ritrovati, per migliaia di ragioni diverse, ad abbracciare il male, per poi rimanerne irreversibilmente trasfigurati. E per quanto il cinema horror abbia proposto una costante variazione sul tema, è pur vero che le istanze appena presentate sono state quasi sempre rievocate con fedeltà dalle varie narrazioni. Ma a questo punto, viene da chiedersi, cosa succede se l’esorcismo non riguarda più il mondo cristiano, ma quello islamico? La strenua opposizione al “non-consacrato” deve necessariamente cambiare di segno? È a queste domande che Roqia sembrerebbe voler dare una risposta.

Considerati tali assunti, l’opera prima di Yanis Koussim, presentata in Concorso alla 40° edizione della Settimana della Critica, non guarda più verso l’esterno, in direzione di un elemento demoniaco che nasce e si sviluppa al di fuori del proprio perimetro religioso, ma lancia lo sguardo al suo stesso universo di riferimento. In Roqia, infatti, che ci si muova agli inizi degli anni ’90 o al tempo presente, la generazione – e la successiva estirpazione – del male avviene nel cuore della sola cornice teologica dell’Islam: non c’è confronto né opposizione a figure culturalmente anomale appartenenti ad altri emisferi religiosi. L’amnesia che, nel 1993, colpisce l’indifeso Ahmed dopo un misterioso incidente che non gli consente più di riconoscere i suoi cari o l’Alzheimer che, ai giorni nostri, offusca la mente di un anziano Raqi (forse già vittima di un atavico esorcismo?) è il frutto di un’unica “maledizione” dalla matrice non anti-musulmana, ma puramente islamica. E se i due personaggi risultano circondati da figure cultistiche che recitano i precetti del Corano in lingue ignote o che agiscono diabolicamente alle spalle dei fedeli in modo da trasfigurarli in ossessi, tutti questi eventi “devianti” non possono che trovare la loro origine in un fenomeno specifico e attinente alla (loro) realtà: vale a dire il fondamentalismo.

La propagazione degli elementi demoniaci, diversamente dagli horror a tema biblico, è perciò un fatto interno: proprio perché, agli occhi del regista di Roqia, il male che i musulmani – quelli veri e retti – devono quotidianamente affrontare non è il cristianesimo o qualsiasi altra religione di stampo monoteistico, ma sono le attività di coloro che professano una lettura profondamente distorta dei testi sacri. Ed ecco che Koussim, in maniera assolutamente lucida, si serve qui dei codici dell’horror esorcistico per stigmatizzare le logiche alla base del fondamentalismo, da lui considerato il vero elemento “impuro” da neutralizzare a tutti i costi. E malgrado il film non riesca quasi mai a risultare viscerale nel disvelamento dell’orrore – ovvero nelle sequenze che dovrebbero repellere lo spettatore – né a restituire incisività alle varie scene di possessione, non si può al tempo stesso che ammirare lo spirito polemico del regista, e l’ostinazione con cui connota le grammatiche del cinema esorcistico di valenze propriamente specifiche della cultura islamica.

Sentieriselvaggi

La malattia di Alzheimer rientra nella tipologia delle demenze, e trascina il paziente in un progressivo declino delle funzioni della mente, una lenta ma inesorabile discesa che prevede tra le altre cose la perdita della memoria e l’incapacità di mantenere il proprio grado di giudizio. Anche l’amnesia dunque rientra tra le possibili derive cui conduce l’Alzheimer, ed è interessante che in Roqia il regista Yanis Koussim – qui al suo esordio sulla lunga distanza – prenda in esame entrambe le urgenze mediche. Il film infatti si svolge in due tempi diversi, e in tre segmenti ideali: si va dal 1993, all’inizio del “decennio nero” che segna la guerra civile algerina – ai giorni nostri, partendo da un incidente che conduce un personaggio alla più completa perdita della memoria per giungere a un esorcista che deve combattere i demoni della mente, ma forse non solo quelli. All’interno dei lavori della quarantesima edizione della Settimana Internazionale della Critica di Venezia Roqia rifulge come una delle opere più intrinsecamente politiche della selezione, sia per quel su cui vuole ragionare in maniera dichiarata e plateale (i traumi e i demoni di una nazione che non sa trovare la propria pace e la propria forma), sia per il cascame inevitabilmente teorico di un’opera che utilizza l’immagine come fosse qualcosa di impalpabile, transitorio, senza memoria e senza vista – l’uomo con il volto bendato fa paura anche perché non ne si può scorgere lo sguardo, e dunque l’intenzione manifesta. È interessante anche annotare come nel corso degli ultimi anni la SIC abbia avuto l’opportunità e il coraggio di ospitare ben più di un’opera proveniente dal Maghreb e in generale dal nord-Africa intenzionata a riutilizzare i canoni dell’orrore e del “genere” per raccontare la propria cultura, storia, visione del mondo: si pensi a Dachra del tunisino Abdelhamid Bouchnak, o al marocchino Queens di Yasmine Benkiran, o ancora a Perfumed with Mint dell’egiziano Muhammed Hamdy. Un modo intelligente e del tutto distante dalla prassi di affrontare la produzione cinematografica di una zona del mondo vicinissima eppure ancora ignota, temuta e tenuta a distanza con ogni mezzo possibile e immaginabile, fino alle estreme e terribili conseguenze di chi tenta disperatamente di attraversare il Mediterraneo – e in tal senso viene in mente un altro lavoro visto alla SIC nel corso dell’ultimo decennio, The Last of Us di Ala Eddine Slim.

In questo scenario si inserisce alla perfezione l’esordio di Koussim, che guarda al sottogenere esorcistico ma lo fa ovviamente da una prospettiva musulmana. In tal senso, nonostante ciò che probabilmente i più potrebbero pensare, Roqia non si presenta come novità assoluta: esorcismi non assecondanti i precetti e le regole del cristianesimo si vedono in numerosi film, tra i quali Djinn di Tobe Hooper, l’indiano e programmatico Islamic Exorcist di Faisal Saif, e anche il dittico indonesiano di Joko Anwar composto da Satan’s Slaves e Satan’s Slaves 2: Communion, visti entrambi al Far East di Udine nel corso degli anni. Koussim sceglie comunque di mantenere il concetto di “possessione” al centro del discorso, ma allo stesso tempo di lavorare soprattutto sull’atmosfera, plumbea e ottundente, e su un tempo che sembra non trascorrere mai, come se l’Algeria fosse a conti fatti una nazione congelata, invasata e oramai morente, incapace di distinguere reale e soprannaturale, e di mettere in pratica la benché minima resistenza culturale e morale. Che si tratti dell’amnesia di cui è vittima Ahmed a seguito di un incidente o della degradazione della memoria per l’anziano Raqi – che di mestiere fa proprio l’esorcista –, Koussim cerca di indagare e mettere in scena una dialettica costante (e non necessariamente accomodante) tra le diverse anime della nazione algerina e della visione e lettura coranica. Il vero incidente scatenante, pare sostenere il quarantottenne regista, lo si deve rintracciare nella matrice fondamentalista della religione, in grado di asservire e di possedere ben più di un jinn di passaggio. La perdita della memoria è dunque non solo quella di Raqi, ma di un intero popolo che ha dimenticato i precetti laici e socialisti alla base del جبهة التحرير الوطني‎ (traslitterabile come Jabhat al-Taḥrīr al-Waṭani, vale a dire Fronte di Liberazione Nazionale) per sposare la sottomissione alla paura. Paura dello sguardo, paura della storia, paura della ricostruzione della memoria. Roqia è un film che sa trovare la sua giusta dimensione incubale, ma allo stesso tempo atterrisce per ciò che racconta dell’oggi, e delle sue distonie sempre più fuori controllo.

Quinlan