François Ozon

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Michelle ha tre passioni: suo nipote Lucas, la sua migliore amica Marie-Claude e i funghi che raccoglie nei boschi di un piccolo villaggio della Borgogna. La sua unica afflizione è Valérie, figlia ingrata che le rinfaccia il passato – Michelle è un’ex prostituta – e troppo amore per suo figlio. Un incidente a tavola e una quiche di funghi tossici dopo, un equilibrio già fragile si rompe. Valérie accusa Michelle di averla deliberatamente avvelenata e le impedisce d’ora in avanti di rivedere Lucas. A rimettere le cose a posto ci pensa Vincent, figlio di Marie-Claude appena uscito di prigione. Le sue intenzioni sono buone ma scatenano una tragica spirale. Dopo l’esuberante commedia Mon crime, François Ozon cambia genere (e generazione) e passa al polar rurale ficcato nella campagna borgognona. Una storia di ottuagenarie, di funghi, di omicidi e di fantasmi. Forme di vita brulicano in un ambiente umido e pulsioni feroci crescono nel cinema francese d’autore, che raccoglie funghi e registra nello stesso anno due film velenosi, crudeli ma soprattutto vitali: Sotto le foglie (François Ozon) e L’uomo nel bosco (Alain Guiraudie). Ozon e Guiraudie condividono un’identità generazionale, sono nati a metà degli anni Sessanta ed esplosi alla fine degli anni Novanta, e un’identità sessuale che infonde sia le loro storie (Gocce d’acqua su pietre roventi, Lo sconosciuto del lago…) che la loro estetica (la questione dello sguardo queer).
Ma potremmo dire al contrario che molto li distingue: il gusto di Ozon per l’eterogeneità, la varietà di generi e stili contro la creazione di un mondo altamente identificabile per Guiraudie, la capacità del primo di infiltrare tutti i livelli dell’industria, contro la permanenza del secondo nel cinema indipendente. Eppure le loro opere interagiscono. Ficcate nella Francia rurale (rispettivamente Borgogna o Aveyron) moltiplicano le corrispondenze: l’identità dei personaggi (una madre anziana e vedova che sposta il desiderio materno dal figlio a un’altra persona e un figlio adulto non amato che scompare brutalmente), l’identità di genere (una macabra commedia poliziesca, tranquillamente amorale, dove il crimine sfugge al giudizio e alla punizione umana) e l’identità di simboli (il fungo).
L’intera rete di significati dei due film, le emozioni che trasmettono e lo stato d’animo che li caratterizza si riassumono in un organismo vegetale che cresce dove vuole, non si coltiva e appartiene decisamente al mondo selvatico. Come il desiderio, i funghi possono curare, nutrire o uccidere. La prossimità tra varietà commestibili e letali diventa per Ozon il sintomo perfetto dell’ambiguità dei suoi personaggi, a partire dalla madre di Hélène Vincent, nutriente e tossica insieme, che quasi uccide la figlia avvelenandola con una torta salata. Incidente o atto volontario, Sotto le foglie avvolge la sua eroina in un’aura di opacità, sollevando domande destabilizzanti sui legami di sangue. Un rapporto che François Ozon spingerà verso una sorta di riconciliazione profondamente commovente, iniettando una dose omeopatica di fantasia in una storia inverosimile ma a suo modo realistica.
Sul muschio umido della foresta, che diventa il letto di segreti indicibili, l’autore pianta una cronaca familiare interrogando apertamente e senza morale genitori e figli. Mette in discussione il concetto di famiglia, scomponendola e ricomponendola in una forma mista (dis)funzionale. Perché i personaggi di Ozon, come quelli di Guiraudie, sono infedeli alle leggi degli uomini e di dio ma fedeli a quelle del loro cuore. Con un gioco sapiente di ellissi, Ozon chiede allo spettatore di riempire emotivamente gli spazi vuoti e di comporre con tutto quello che resta fuori campo, di considerare tutti i punti di vista e di dubitarne costantemente. In breve, spetta al pubblico decidere se i nostri eroi hanno commesso un crimine o sono stati solo (s)fortunati, spetta a noi fare luce su un mistero che Ozon si diverte a offuscare, conducendo il suo film verso l’onirismo realistico di Sotto la sabbia. A questo punto solo una cosa è certa: non guarderemo più allo stesso modo la quiche aux champignons della nonna.
Sotto le foglie si iscrive perfettamente nella poetica filmica di Ozon perché è parte di un cinema fluido, caratterizzato dalla mutevolezza costante delle forme, tanto dei personaggi quanto dei generi che il lungometraggio attraversa. Per quanto riguarda i primi, le identità dei protagonisti mutano costantemente lungo tutto il film: in particolare quando vengono messi a contatto con la morte, reale o metaforica, subiscono e sperimentano una rinascita identitaria cambiando letteralmente pelle. Il pensionamento delle due donne anziane coincide con il decesso simbolico della loro identità lavorativa precedente, cosa che permette loro di divenire nonne e madri amorevoli, mentre Vincent, il figlio di Marie-Claude, esce di prigione e diventa un onesto barista. A mutare sono in particolare le identità definite socialmente, attraverso un profondo cambiamento dei ruoli archetipici di parentela al di fuori dei codici tradizionalmente imposti: le due anziane diventano sorelle elettive aiutandosi a vicenda; dopo la morte di Valérie, la figlia di Michelle, Vincent viene simbolicamente adottato da quest’ultima e diventa una sorta di figura paterna di Lucas; infine, la nonna di questi sperimenta una seconda maternità allevando il nipote.
Come è tipico in Ozon, l’unica figura parentale ad essere estromessa perché deteriore o assenteista è quella del padre, come accade nel caso di Lucas e dei figli delle due ex prostitute. Non a caso, l’unica figura paterna ritratta in modo positivo è quella di Vincent, padre non biologico e che solo nella parte terminale del film viene presentato sotto questa luce. La natura obliqua e fluida del film stesso, invece, si attua nel genere invece che nella regia, essendo quest’ultima posta a servizio della trama, invisibile e nascosta sia nei movimenti di macchina, finalizzati all’esaltazione della messa in scena e della recitazione attoriale, quanto nel montaggio trasparente come anche nella fotografia naturalistica. La mutevolezza riguarda quindi i generi, che il film attraversa con disinvoltura e finendo col creare un caleidoscopio di spunti e forme diverse: inizia come dramma familiare incentrato sul dissidio fra Michelle e Valérie, poi diventa un giallo per il probabile atto sconsiderato compiuto dal figlio pregiudicato di Marie-Claude, per subentrare infine con decisione nella dimensione melodrammatica. È questo il genere a cui il film tende fin dall’inizio, essendo ricco di colpi di scena inaspettati, come il passato scandaloso che emerge a sconfessare le identità celate faticosamente, le morti, l’omicidio che forse è un suicidio, i bambini che diventano orfani, le madri (la poliziotta e la stessa Michelle) che decidono di allevare i propri figli da sole. Più in generale, è lo stesso ricorso all’inatteso e all’iperbolico a definire il film nella sua interezza e a etichettarlo come mélo.
Ozon, d’altra parte, ama le strutture narrative forti e incentrate sul piacere del racconto perché questa cornice formale gli permette di inglobare i profondi mutamenti identitari contenuti al suo interno. La buona riuscita del film è affidata anche a un cast attoriale eccellente, fra cui spicca in particolare la bravissima Hélène Vincent, capace di scolpire il ritratto di una donna timorosa e pentita del proprio passato ma, al contempo, desiderosa di redimersi.
(…) L’ambiguità, leitmotiv di gran parte dell’opera di François Ozon, è il nucleo tematico di Sotto le foglie, l’ineludibile tratto distintivo dei suoi personaggi. Ce lo indica a chiare lettere l’anziana Michelle Giraud, ruolo affidato alla veterana Hélène Vincent, quando afferma di non essere più sicura se il fungo velenoso che ha rischiato di uccidere per intossicazione la figlia Valérie sia finito nel suo piatto per errore o meno. E Ozon non perde occasione di ricordarcelo: attraverso le scelte di un film imperniato sui non detti e sulle ellissi e attraverso un nugolo di comprimari la cui ambiguità è connaturata a chi sono e a come agiscono; per culminare poi in un epilogo impeccabile, in cui quella patina di cinismo antiborghese tipicamente chabroliano lascia il posto a un profondo senso di empatia, a tratti perfino commovente. (…) Ma nell’epilogo, ambientato a quasi un decennio di distanza, Ozon ci riserva almeno un altro momento rivelatore; e senza ricorrere ad altisonanti colpi di scena, ma mediante il casuale commento di un Lucas ormai adulto (Paul Beaurepaire): “I funghi mi sono sempre piaciuti”. Nel rinnegare quanto dichiarato da adolescente, subito prima che la nonna servisse i funghi avvelenati, risiede forse un’ammissione di complicità da parte di un personaggio ammantato di reticenza (il turbamento di Lucas quando risponde di non avere una ragazza non dice nulla di preciso, ma instilla il dubbio sulla sua omosessualità). Una complicità, quella fra lui e la nonna, che non ha mai avuto bisogno di parole, come neppure il loro amore. Ma del resto, c’è davvero bisogno di altre parole e spiegazioni? Non in un film come questo, non quando la scrittura è talmente sopraffina da far parlare perfino il silenzio.