Daniele Barbiero

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Nel panorama del cinema italiano contemporaneo, raramente si incontrano opere che riescano a catturare con autenticità il momento di passaggio più delicato e vertiginoso della vita: quello tra l’adolescenza e l’età adulta. Squali, diretto da Daniele Barbiero, si inserisce in questo territorio inesplorato con l’ambizione di raccontare non solo una storia di crescita, ma soprattutto la sensazione di accelerazione forzata che travolge i giovani nel momento in cui devono compiere scelte che peseranno sul resto della loro esistenza. Il titolo del film non è casuale. Gli squali sono creature condannate al movimento perpetuo: se si fermano, muoiono. È questa l’immagine che Barbiero sceglie per rappresentare la condizione dei suoi giovani protagonisti, intrappolati in una corsa contro il tempo che non hanno scelto ma che sono costretti ad affrontare. La metafora funziona su più livelli: da un lato cattura la voracità dell’ambizione giovanile, dall’altro illustra la crudeltà di un sistema che impone ritmi frenetici senza lasciare spazio alla riflessione, alla pausa, al respiro necessario per capire chi si è veramente.
Lorenzo Zurzolo interpreta Max con una credibile vulnerabilità. Il suo personaggio è un diciannovenne della provincia veneta che ha fatto ciò che molti ragazzi della sua generazione fanno: ha creato qualcosa, un’app pensata per aiutare i coetanei a orientarsi nel labirinto delle scelte post-maturità. Ma quando Robert Price fondatore di un prestigioso incubatore di start-up romano, nota il suo progetto e lo convoca nella Capitale, Max si trova improvvisamente catapultato in un mondo che non comprende del tutto. Zurzolo riesce a trasmettere lo spaesamento di chi si trova a vivere un’opportunità che potrebbe essere quella della vita, ma che arriva nel momento sbagliato, quando ancora non si è pronti. Il suo Max è un ragazzo affamato di futuro ma nostalgico di un presente che gli sta scivolando via troppo in fretta. Nelle sue espressioni si legge il conflitto tra l’entusiasmo per il riconoscimento professionale e la consapevolezza di ciò che sta perdendo: l’estate con gli amici, il viaggio in Spagna pianificato da tempo, la spensieratezza che non tornerà più. La presenza di James Franco nel cast porta con sé un certo peso simbolico. Il suo Robert Price incarna il mondo degli adulti, quello fatto di opportunità, di scadenze, di investimenti e di promesse. È il catalizzatore che innesca la crisi di Max, la figura che rappresenta tutto ciò che il protagonista potrebbe diventare ma anche tutto ciò che dovrà sacrificare per arrivarci. Franco interpreta il personaggio con un carisma ambiguo, lasciando lo spettatore nel dubbio: è un mentore sincero o un manipolatore affascinante? È l’opportunità reale o solo un miraggio dorato? Questa ambiguità è uno dei punti interessanti del film, perché riflette l’incertezza che ogni giovane prova di fronte alle promesse del successo: Roma, con le sue luci e le sue seduzioni, diventa il palcoscenico di una trasformazione che potrebbe essere tanto una crescita quanto una perdita d’identità.
Mentre Max viene risucchiato nell’orbita della sua app e delle possibilità che essa rappresenta, i suoi amici vivono un’estate completamente diversa. Francesco Centorame nei panni di Filippo, il migliore amico di Max, offre una buona performance: è il ragazzo che resta, quello che non ha un’app da lanciare o un businessman americano che lo corteggia. Filippo rappresenta la normalità, il ritmo naturale della crescita, quello che non viene accelerato da ambizioni straordinarie.
Ginevra Francesconi interpreta Anna, l’amore adolescenziale di Max, con una delicatezza che rende il personaggio più di una semplice interesse romantico. Anna è anch’essa alle prese con i propri dubbi, con le proprie incertezze sul futuro. La sua presenza diventa un’ancora emotiva per Max, un richiamo a ciò che è autentico e non mediato dalle logiche del successo e del profitto.
Il gruppo di amici – completato da Francesco Gheghi, Greta Fernández, Federica Baù e Gabriele Rollo – viene ritratto con sincerità. A tratti sono personaggi stereotipati, ma funzionali alla trama: sono ragazzi veri, con le loro fragilità, le loro domande senza risposta, le loro paure di non essere abbastanza o di sbagliare tutto. Mentre Max è a Roma a inseguire un sogno che forse non è nemmeno suo, loro stanno in quella provincia veneta che il cinema italiano racconta raramente, vivendo un’estate che è insieme festa e malinconia, libertà e incertezza.
Al cuore di Squali c’è una domanda universale ma particolarmente pressante per la generazione Z: quando si è pronti a fare scelte che determineranno il resto della propria vita? Il film non offre risposte facili, e questo è uno dei suoi meriti maggiori. Max vive un’accelerazione che non ha scelto: l’email di Robert Price arriva come un fulmine, e improvvisamente si trova su un treno verso Roma senza aver avuto il tempo di metabolizzare cosa sta accadendo. Barbiero costruisce una narrazione che riflette questa frenesia: le scene si susseguono con un ritmo che mima lo stato d’animo del protagonista, sempre in movimento, sempre proiettato verso qualcosa che deve accadere domani. Il contrasto tra i due mondi – quello della provincia, fatto di tempi dilatati e di relazioni autentiche, e quello della capitale, dominato dall’urgenza e dalla performance – viene reso attraverso una regia che sa modulare i toni, nonostante, ogni tanto, cada nel didascalico. Pur essendo una storia personale, Squali contiene una critica sociale implicita ma vera. Il film parla di una generazione costretta a scegliere troppo presto, bombardata da messaggi che esaltano il successo precoce, l’imprenditorialità giovanile, la realizzazione immediata. L’app di Max, nata per aiutare i ragazzi a orientarsi, diventa paradossalmente lo strumento che lo disorienta, che lo strappa alla sua età e lo proietta in un gioco che non ha le competenze per giocare.
C’è una riflessione sottile sul capitalismo digitale, su come le start-up e il mondo delle nuove tecnologie seducano i giovani con promesse di cambiamento immediato, di ricchezza rapida, di status sociale. Soldi, fama, riconoscimento: tutto sembra a portata di mano, ma il film si chiede quale sia il prezzo di questa corsa. E la risposta, suggerita più che esplicitata, è inquietante: il prezzo è il tempo, quello che non si recupera, quello in cui si costruiscono le relazioni, si scoprono le passioni vere, si impara a conoscersi.Se c’è un punto debole in Squali, è il finale che risulta frettoloso. Dopo aver costruito con pazienza e attenzione la tensione emotiva e narrativa, il film sembra avere fretta di concludersi, come se anche la regia fosse stata contagiata dalla metafora dello squalo che non può fermarsi.
