Stereo girls

Caroline Deruas Peano

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Sud della Francia, anni ‘90. Charlotte e Liza, diciassettenni e inseparabili migliori amiche, vivono per il brivido della musica e per l’eccitante promessa della libertà. Sono diametralmente opposte in tutto, ma insieme sono inarrestabili. Quando il partito di destra inizia a prendere piede nella loro città natale, le ragazze sognano di trasferirsi a Parigi, spinte dalla passione per la musica. Ma un’inaspettata tragedia si abbatte su di loro e Charlotte si ritrova da sola alla soglia dell’età adulta. Portando con sé sogni che erano pensati per due.
DATI TECNICI
Regia
Caroline Deruas Peano
Interpreti
Léna Garrel, Louiza Aura, Emmanuelle Béart, Vahina Giocante
Durata
80 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Caroline Deruas Peano
Fotografia
Vincent Biron
Montaggio
Mirenda Ouellet
Musiche
Calypso Valois
Nazionalità
Francia
Anno
2025

Presentazione e critica

Scelto come film di apertura, presentato tra gli eventi speciali della 40esima edizione della Settimana della Critica, Stereo Girls è un’opera piccola ma sorprendente, dal sapore nostalgico e dai sentimenti travolgenti. E ci tiene a precisarlo subito la voce fuori campo della protagonista, perfettamente incarnata da Léna Garrel, che mette in guardia coloro che non credono alla vera amicizia. In cabina di regia, la francese Caroline Deruas Peano mette anima e cuore e realizza un vero e proprio gioiello, affidandosi probabilmente ai ricordi della sua infanzia, dei quali rimane una traccia profonda che tocca indistintamente tutti. Charlotte (Garrel) e Liza (Louiza Aura) hanno diciassette anni e un’amicizia che le lega da sempre. Niente e nessuno può intrommettersi tra loro, nemmeno le prime infatuazioni con tanto di figuracce che scatenano piccoli litigi. Sebbene diverse, anche come provenienza sociale, condividono un sogno: sfondare come duo musicale dall’improbabile nome a Parigi. La realtà della cittadina in cui vivono, nel Sud della Francia, va loro un po’ stretta, ma devono aspettare ancora un po’ per tentare il grande passo. Nel frattempo, le loro giornate trascorrono a casa dell’una o dell’altra, a fare prove con microfono, tastiera e quaderno alla mano. Dopo aver trascorso l’ennesima estate insieme, Charlotte e Liza riprendono le lezioni a scuola, dove ritrovano il gruppo di amici e, soprattutto, il professore di educazione fisica, per cui Liza ha una cotta. Proprio durante una delle sue lezioni, la giovane ha un malore e sviene improvvisamente. L’esistenza di Charlotte e di chi le gravita intorno viene sconvolta per sempre dalla perdita dell’amica.

Ambientato negli anni Novanta, di cui si arriva a respirare lo spirito, la musicalità, l’energia, il film ha qualcosa di speciale, che ha a che fare con la comprensione vera di un sentimento come l’amicizia. Liza e Charlotte hanno un rapporto particolare, che somiglia alla sorellanza ma che in realtà è molto di più. Il senso di vuoto che si trova a vivere Charlotte nel momento in cui resta sola appare spaventoso, una voragine che la risucchia senza possibilità di replica. E non dipende dal fatto che abbia solo 17 anni, perché con Liza sparisce un pezzo di se stessa. Stereo Girls rende in maniera così intensa e tangibile quella sensazione da sentirsene, tutto a un tratto, sopraffatti. Eppure la bellezza della pellicola è nel saper dare importanza ai ricordi, alla memoria, al desiderio di continuare per portare avanti un progetto iniziato insieme. La sceneggiatura, scritta dalla Deruas Peano, insieme a Jihane Chouaib, Maud Ameline e Victoria Kaario, abbraccia tutta una gamma di emozioni che fanno parte della vita, sebbene ne venga raccontato solo un piccolo spaccato. Una scomparsa lascia sempre dietro di sé una scia di dolore, che accomuna persone anche sconosciute tra loro, unite da un bisogno atavico di trovare un senso. Con un finale che dà un bel segnale di speranza, Stereo Girls vanta inoltre splendide prove attoriali e una colonna sonora con le musiche di Calypso Valois.

Taxidrivers

È un atto d’amore agli anni ’90, ma anche un divertente e toccante coming of age adolescenziale di ispirazione autobiografica il film d’apertura fuori concorso della 40ma Settimana Internazionale della Critica, Stereo Girls (Les immortelles), diretto da Caroline Deruas Peano, già regista del lungometraggio Daydreams (2017) e sceneggiatrice di titoli come Forever Young – Les Amandiers e I villeggianti (entrambi di Valeria Bruni Tedeschi) e l’Orso d’argento Il grande carro di Philippe Garrel.

Siamo, appunto, nel 1992, e al centro abbiamo due amiche diciassettenni, Charlotte e Liza, che vivono in una cittadina del Sud della Francia e sognano di trasferirsi a Parigi per diventare star della musica, con una band il cui nome è già un programma: The Dirty Panties. Ma una tragedia improvvisa si abbatte sulle loro aspirazioni di libertà, e il film, da scanzonata commedia giovanile, diventa (anche) un dramma sull’elaborazione del lutto. Ciò che non cambia, dall’inizio alla fine, è l’immersione nell’inconfondibile immaginario di fine Ventesimo secolo, e in particolare nella sua cultura pop: “È buffo, – dice Caroline Deruas Peano a Ciak, – perché è adesso che mi toccano così tanto gli anni ’90: non la pensavo così quando li vivevo, mi sembravano più belli gli anni ’60. Adesso invece adoro i ’90, malgrado non fossero altrettanto rivoluzionari”. Ma, riflette la regista, rispetto al presente c’era forse più speranza: “Se vedo i ragazzi di vent’anni oggi, mi sembra estremamente difficile essere giovani, e che all’epoca invece si potesse accogliere la vita in modo più ingenuo, con più sogni a disposizione”. In questo senso non sono casuali nel film i riferimenti all’ascesa della destra lepenista, con la sua retorica razzista, xenofoba e omotransfobica, ad anticipare le inquietanti derive dei nostri giorni. “Erano gli inizi del fenomeno che vediamo adesso, e che oggi ha raggiunto un livello che fa tanto più paura“, sottolinea la cineasta. C’è poi il vissuto della stessa Caroline Deruas Peano alla base della storia narrata. Che, ci spiega, è “un omaggio a una mia cara amica, scomparsa quando avevamo diciassette anni. Il film è dedicato a lei. Il sogno di fare musica delle protagoniste rappresenta il nostro sogno di fare cinema quando eravamo adolescenti”. E se per la colonna sonora della sua opera prima, Daydreams, la regista aveva collaborato con Nicola Piovani, stavolta si è avvalsa dell’apporto di Calypso Valois, figlia di Elli Medeiros e Jacno, celebre duo musicale della Francia anni ’80, noti ai cinefili anche per Les Nuits de la Pleine Lune (1984). “Con lei abbiamo parlato a lungo, mi ha dato molti spunti, anche per far coesistere le sue musiche con i veri brani dell’epoca”. A rafforzare la componente autobiografica di Stereo Girls troviamo, nei panni di Charlotte, una bravissima Lena Garrel, figlia della cineasta e di Philippe Garrel: “Il film per me è diventato possibile perché c’era lei, – afferma Deruas Peano, che confessa di aver inizialmente avuto difficoltà a trasporre sullo schermo la traumatica perdita dell’amica. – Ma quando ho visto l’adolescenza di mia figlia con le sue amiche, in quel momento ho ritrovato la nostra gioia di allora. Questo mi ha permesso di scrivere il film”.

Ciakmagazine

C’è una luce che ritorna, persistente e avvolgente, capace di restituire la sensazione di un tempo sospeso: quella della Francia anni ’90, che Caroline Deruas Peano evoca con sensibilità pittorica e rigore estetico. Les Immortelles – presentato alla SIC con il titolo internazionale Stereo Girls – si offre innanzitutto come un’esperienza visiva, un film che non si limita a raccontare ma che costruisce un mondo, riportando in vita le atmosfere di un’epoca fatta di colori saturi, notti al neon e desideri che brillano più forti della realtà. Al centro, Charlotte e Liza: due diciassettenni inseparabili, due caratteri opposti che si completano, unite dalla stessa febbre vitale e dallo stesso sogno di fuga. Vogliono Parigi, vogliono la musica, vogliono quella libertà che sembra pulsare in ogni battito del cuore adolescenziale. La loro è un’amicizia totalizzante, assoluta, di quelle che assomigliano a un patto silenzioso, a una promessa che sembra destinata a non incrinarsi mai. Nelle interpretazioni di Léna Garrel e Louiza Aura c’è tutta la forza e la vulnerabilità di quell’età: un’intensità che non conosce compromessi e che accende lo schermo di energia. Il film vive di questa vitalità contagiosa, mai affettata. Deruas Peano – qui anche sceneggiatrice – sa dare corpo alla freschezza dell’adolescenza con uno sguardo che non indulge nel sentimentalismo ma che si lascia attraversare dal ritmo della vita. La musica composta da Calypso Valois accompagna e amplifica questo slancio, diventando il vero respiro narrativo del film. La fotografia di Vincent Biron, luminosa e sensuale, cattura i corpi e gli spazi con la precisione di chi non cerca la ricostruzione filologica, ma un’evocazione, un’eco che sappia parlare anche al presente.

Eppure, come in ogni racconto di formazione, arriva il momento della frattura. La tragedia che irrompe nelle vite di Charlotte e Liza non è un mero espediente narrativo, ma il vero cuore del film: spartiacque netto, linea che divide l’adolescenza dall’età adulta. L’infanzia finisce all’improvviso, il sogno di Parigi si arresta, e a Charlotte non resta che fare i conti con l’assenza, portando sulle proprie spalle un destino che era stato immaginato in due. È in questa cesura che Les Immortelles trova la sua forza più universale: raccontare come si diventa adulti non per scelta ma per necessità, non per volontà ma perché la vita lo impone. La regia alterna registri diversi – dal musical al realismo, dall’onirico al dramma – senza mai scivolare nella ridondanza. Se a tratti la stratificazione rischia di disperdere l’unità narrativa, è proprio in questa continua ricerca di forme che il film rivela la sua freschezza e il suo coraggio. È l’incertezza stessa a restituire l’irrequietezza di un’età che non sa fermarsi, che procede per tentativi, che mescola sogno e realtà senza riconoscerne ancora i confini. Ne risulta un’opera seconda sincera e vitale, segnata da una grazia luminosa e da una tensione costante verso il movimento. Les Immortelles è un film che vibra: di energia, di fragilità, di slancio. Sa rendere palpabile la bellezza dell’adolescenza, ma anche la sua precarietà, il suo precipitare improvviso nell’età adulta. Deruas Peano non costruisce un monumento alla nostalgia, ma un film vivo, che respira con le sue protagoniste e condivide con loro la corsa verso un orizzonte che si allontana.

Per questo la sua presenza come apertura della Settimana Internazionale della Critica appare particolarmente significativa: Les Immortelles non è solo un racconto di amicizia e di perdita, ma anche un ritratto energico di una generazione che cerca la propria voce. È cinema che guarda indietro senza rimanere intrappolato nella nostalgia, e che restituisce al presente la forza di una memoria ancora pulsante. Un film che, pur nella sua delicatezza, ha il coraggio di credere che l’adolescenza sia davvero un tempo immortale.

Cinematografo