Oscar Hudson

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Straight Circle, esordio di Oscar Hudson in concorso alla Settimana Internazionale della Critica inizia in un mondo per poi seguire un’altra rotta, trasformandosi in qualcosa di diverso e poi in qualcos’altro ancora, cambiando senza soluzione di continuità focus, temi, stili e toni. L’unico fil rouge è la presenza di due personaggi immersi in un’unica location che li isola dal resto del mondo. I protagonisti sono infatti due soldati che vengono incaricati di presidiare un confine al centro di un deserto conteso dalle proprie nazioni, precedentemente in guerra tra di loro e giunte ad un accordo che prevede proprio la creazione di tale presidio per risolvere momentaneamente la controversia. Costretti a fare i conti con la monotonia delle loro giornate, ben presto vanno incontro ad una condizione di spaesamento in cui non è più possibile riconoscere né lo schieramento a cui appartengono né la propria stessa identità.
Nel portare avanti queste premesse, Straight Circle intraprende sempre la strada narrativamente più rischiosa, mescolando tra di loro diversi toni – ci sono la commedia, il dramma, l’orrore, la tensione e tanti altri – con una precisione millimetrica, che però non sa mai di freddezza. Anzi, il lungometraggio ha infatti il merito di cercare di stupire, abbandonando il cammino più sicuro ogni volta che si crea l’opportunità per avventurarsi in un territorio diverso. Chiaramente gli esiti di un tale approccio non sono sempre i migliori ed il film, ben lontano dalla perfezione, alterna grandi intuizioni a discreti strafalcioni. Ciononostante, e forse proprio per questo, non può che entusiasmare, portando a chiedersi con curiosità quale sarà e quando arriverà il prossimo passo di Oscar Hudson.
Che quest’ultimo sia un esordiente d’altronde è evidente. Lo si riconosce dalla grande quantità di modelli ed influenze a cui il giovane cineasta si è quantomeno “appoggiato” nella scrittura prima e nella resa formale del film dopo. C’è innanzitutto Joint Security Area (non solo per la questione della frontiera, in tutto e per tutto simile alla zona demilitarizzata tra le due Coree, ma anche per l’idea di una guerra che fa parte semplicemente della cultura ereditata), ma c’è anche tanto Wes Anderson; nella parte centrale si respirano le atmosfere grottesche e kitsch di El Jockey, mentre l’ultimo atto guarda molto a The Lighthouse (due uomini che soffrono l’isolamento fino alla follia); qua e là vi è inoltre un gran ricorso ad uno split screen che deve tanto (probabilmente tutto) a Vortex. Straight Circle rischia allora di perdere in tal senso parte della propria unicità, schiacciato dalle sue stesse fonti d’ispirazione. Tuttavia, come dimostra l’enigmatico finale, trova sempre la strada per stupire ancora una volta.