Michela Andreozzi

DATI TECNICI
Regia
Interpreti
Durata
Genere
Sceneggiatura
Fotografia
Montaggio
Musiche
Distribuzione
Nazionalità
Anno
Presentazione e critica
Quanto siamo davvero pronti ad accogliere l’identità dei nostri figli, quando esce dai confini che avevamo immaginato per loro? È questa la domanda che attraversa Unicorni, il nuovo film di Michela Andreozzi, in sala dal 18 luglio con Vision Distribution dopo l’anteprima al 55° Giffoni Film Festival. Una domanda semplice ma potentissima, che fa da bussola a una storia tenera e urgente che attraversa l’infanzia, ma che interroga profondamente chi ha il compito di accompagnarla.
Al centro del film c’è Blu, un bambino di nove anni che ama vestirsi da bambina e sogna di farlo anche alla recita scolastica. A casa è libero di esprimersi, ma fuori no. I suoi genitori — interpretati da Edoardo Pesce e Valentina Lodovini — si dichiarano aperti, progressisti, moderni. Ma quando le scelte del figlio mettono in discussione la loro visione della genitorialità, la paura prende il sopravvento. E inizia un percorso di rieducazione emotiva in cui l’amore non è dato per scontato, ma va riscoperto, riconosciuto, scelto ogni giorno. C’è un momento — uno su tutti — che resta addosso: il padre che si scioglie in un pianto improvviso, dopo aver capito che l’unico modo per amare davvero suo figlio è accettarlo. Non proteggerlo. Non cambiarlo. Solo abbracciarlo, senza condizioni. Unicorni è prima di tutto un film che accoglie. Accoglie la complessità, le paure, il desiderio sincero di capire. E lo fa con delicatezza, ironia e una profonda empatia. Come la figura mitologica del titolo, anche la famiglia protagonista è rara, unica, colorata, ma anche reale e piena di dubbi. Imperfetta, come tutti noi.
Il piccolo Daniele Scardini, al suo esordio sullo schermo, è una rivelazione: Blu è un bambino vero, mai stereotipato, e Scardini lo interpreta con un’intelligenza emotiva rara, restituendo sullo schermo la purezza con cui i bambini affrontano il mondo. Perché, ed è questo il messaggio più potente del film, i bambini sono sempre un passo avanti. Sono gli adulti a dover imparare a comprenderli davvero. Intorno a lui, un cast affiatato e un gruppo di Genitori Unicorni che regala momenti teneri, buffi, ma mai banali. Tra le righe più ironiche, c’è anche spazio per battute spiazzanti che fanno ridere di cuore, ma senza mai sminuire la complessità emotiva del racconto. Semmai, la rendono più vera, più umana.
Andreozzi interpreta anche la psicologa che guida il gruppo. Una presenza metacinematografica e rassicurante, che dirige il cambiamento dei personaggi quasi come guida lo sguardo dello spettatore: con rispetto, ironia e una grande fiducia nel potere della comprensione.
Unicorni non ha bisogno di retorica. Gli basta la voce limpida di Blu che dice di non voler essere maschio o femmina: «Io voglio essere… io».
Una frase semplice, eppure capace di racchiudere tutto.
In un mondo che parla spesso per etichette, Unicorni ci ricorda che l’identità non si spiega.
Si ascolta. Si abbraccia. Si ama.
(…) A prima vista, Unicorni potrebbe sembrare un film sul percorso di scoperta e ricerca di se stessi di un bambino. In realtà, Blu è forse il personaggio con meno dubbi di tutti: sa chi è, sa chi vorrà essere, ma soprattutto sa chi non vuole essere. E nell’innocenza e ingenuità della giovane età, le sue perplessità sono più che altro sul modo in cui gli altri lo vedono: perché i genitori litigano parlando di lui? Perché Giorgio, il figlio di Stefano, lo prende in giro? Perché il padre lo porta al parco avventura invece di andare con lui al cinema a vedere un film sulle principesse? Davvero voler essere femmina è così sbagliato?
La risposta, chiara e netta, di Michela Andreozzi è no. La varianza di genere nei bambini esiste, è reale, non va messa in discussione. Ciò che interessa davvero alla regista, quindi, sono i genitori. Sono loro i veri protagonisti e sono loro ad avere l’arco narrativo più forte. Non a caso è lei stessa a interpretare la psicologa che aiuta Lucio, Elena e altre coppie a comprendere i propri figli. Ma le interessa forse più di tutto sviscerare, studiare e raccontare la mascolinità in tutte le sue forme, compresa l’assenza di essa. Ecco allora che trova la figura esemplare in Lucio, un uomo convinto della propria razionalità – “analizziamo i fatti”, dirà spesso alla moglie – e di essere ideologicamente superiore agli altri – uno su tutti Stefano, il quale “ha insegnato Faccetta nera al figlio a tre anni” -, che tuttavia scoprirà ben presto che quegli stessi valori che disprezza hanno condizionato anche lui.
Il risultato è un film al quale, da un lato, manca la stessa brillantezza nei dialoghi e nello stile di altri prodotti contemporanei che mettono al centro giovani e tematiche queer, come Sex Education o Heartstopper. Dall’altro, emoziona e diverte nei momenti giusti e offre ottime interpretazioni da parte di tutto il cast, da Valentina Lodovini a Lino Musella. Edoardo Pesce, alle prese con l’ennesima figura paterna – la terza e la migliore del 2025 finora, dopo Come gocce d’acqua e Ho visto un re – dà qui dimostrazione di grande dolcezza, ed è perfetto nel far emergere tutte le contraddizioni di Lucio, che prima demolisce dialetticamente in radio un Andrew Tate italiano e poi abbandona con disapprovazione la seduta di terapia dei Genitori Unicorni. A spiccare tra tutti, però, è Daniele Scardini, che riesce a infondere grande umanità e intelligenza a Blu nella sua prima prova sul grande schermo.
