Zvanì – Il romanzo famigliare di Giovanni Pascoli

Giuseppe Piccioni

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Giovanni Pascoli è morto e un treno, su cui si trovano parenti, studenti e autorità, parte da Bologna per trasportare il feretro al paese natale, Castelvecchio di Barga. Attraverso il ricordo della sorella Mariù ripercorriamo la vita del poeta a partire dall'uccisione del padre per poi scoprire il suo impegno politico, i rapporti non sempre facili con Giosuè Carducci e la sua vita con le sorelle Ida e Mariù.
DATI TECNICI
Regia
Giuseppe Piccioni
Interpreti
Riccardo Scamarcio, Benedetta Porcaroli, Margherita Buy, Federico Cesari, Liliana Bottone, Marco Trionfante
Durata
110 min
Genere
Biografico
Sceneggiatura
Sandro Petraglia
Distribuzione
Academy Two
Nazionalità
Italia
Anno
2025

Presentazione e critica

Giovanni Pascoli è morto e un treno, su cui si trovano parenti, studenti e autorità, parte da Bologna per trasportare il feretro al paese natale, Castelvecchio di Barga. Attraverso il ricordo della sorella Mariù ripercorriamo la vita del poeta a partire dall’uccisione del padre per poi scoprire il suo impegno politico, i rapporti non sempre facili con Giosuè Carducci e la sua vita con le sorelle Ida e Mariù.

Giuseppe Piccioni ci fa conoscere aspetti spesso dimenticati della vita di uno dei poeti più famosi in Italia. “Zvanì” è il diminutivo affettuoso con cui in Romagna si chiama chi ha come nome Giovanni. Già questa dizione nel titolo segnala l’intenzione di avvicinare agli spettatori un poeta che troppo spesso i libri scolastici hanno relegato, talvolta fraintendendone il senso , all’immagine del ‘fanciullino’ o alla poesia “La cavallina storna” dedicata all’uccisione del padre. Giuseppe Piccioni decide di affrontarne la biografia scavando, grazie a una sceneggiatura che vede tra le firme Sandro Petraglia, nelle vicende meno note della sua formazione culturale e politica e nel rapporto con le sorelle.
Pagato il debito iniziale, che lo costringe a presentare i personaggi principali affinché se ne distingua il rapporto con il poeta, Piccioni continua a proporre il suo modo di fare cinema che consiste nell’indagare nelle pieghe dell’animo umano sia che si tratti di personaggi frutto dell’immaginazione o, come in questo caso, di uno scrittore noto al grande pubblico per reminiscenze scolastiche ma, sotto questo profilo, ancora sostanzialmente sconosciuto.
Accompagniamo così Giovanni nella sua ansia di portare allo scoperto le vere cause dell’uccisione del genitore così come lo vediamo, da studente, impegnato sul piano politico in qualità di seguace delle idee ‘rivoluzionarie’ di Andrea Costa, primo deputato socialista d’Italia, e ne seguiamo i rapporti non sempre idilliaci con Giosuè Carducci e Gabriele D’Annunzio.
Dove poi Piccioni torna a portare in primo piano quegli slittamenti del cuore e dell’affettività che hanno innervato, sin dagli esordi con Il grande Blek, la sua filmografia, è nel rapporto tra il poeta e le sorelle Ida e Mariù. Le dinamiche che intercorrono tra di loro sono complesse e il film, senza avere la pretesa di offrirci una risposta definitiva, ci suggerisce alcune ipotesi decisamente interessanti, in particolare per quanto riguarda Ida.

Da parte degli esegeti della sua opera non sono mancate le illazioni sui motivi che spinsero Pascoli a non sposarsi. Piccioni ci offre la sua lettura cercando, ancora una volta, l’essere umano nella sua essenza liberata dall’immagine che di lui gli altri si sono creata. Suor Caterina, Ernesto, Giulia, Luciano e molti altri suoi personaggi hanno preceduto questo Zvanì. Tutti sono diventati, per chi apprezza il suo cinema, dei vicini di casa, delle persone (non più dei personaggi) da conoscere e accogliere con i loro pregi e i loro difetti. Ora lo è anche Giovanni Pascoli.

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A vedere Zvanì, romanzo famigliare di Giovanni Pascoli (come recita il sottotitolo del film portato alle Giornate degli Autori della Mostra del cinema di Venezia 2025) sembra quasi naturale che l’occhio e la sensibilità di un autore sopraffino come Giuseppe Piccioni raccontino la vita di un poeta, mentre è solo la prima volta che il regista ascolano mette al centro di una sua opera la biografia di un gigante dei versi. Quello che esce fuori, allora, è proprio un miracolo inevitabile: tutto quello che in altre mani risulterebbe retorico, enfatico, fuori dal tempo, Piccioni lo trasforma -con le sue atmosfere rarefatte, malinconiche e sensibili- in un gioiello di emozioni e di umanesimo, dove la forma ha una sintonia perfetta con il contenuto. Lo sguardo poetico e intimo sui personaggi, la cifra stilistica che insegue ed evidenzia sempre le fragilità di chi è perennemente alla ricerca di un senso: sono probabilmente le caratteristiche che permettono a Zvanì di evitare con intelligenza le trappole didattiche che sono insite nella vita di un poeta realmente esistito e così radicato nell’immaginario letterario della penisola.Qua siamo piuttosto nelle zone dell’Eterno visionario di Placido, che per raccontare Pirandello ne disegnava i fantasmi, tracciando i contorni di un’indagine prima esistenziale e poi reale.Non per niente, il film inizia con la morte di Pascoli e torna indietro con dei flashback che illuminano i giorni in cui lo stesso Giovanni (bravo ed efficace Federico Cesari) cerca di far luce sulla morte del padre, evento catalizzatore della sua vita.

Ed ecco che allora il lato pubblico, che in Zvanì può essere rappresentato da La Cavallina Storna, è la chiave per entrare in un mondo privato fatto di dolore, sofferenze taciute, lacerazioni silenziose – che sono poi le ferite che meglio sa raccontare Piccioni, con quella sua sintassi dolente ma mai rassegnata.È il mondo intimo, quello famigliare appunto, che poi come in un cerchio è quello da cui scaturisce la poesia di Pascoli, la sua ispirazioneRimane però un mistero dell’arte come Piccioni sappia cogliere sempre le sfumature più segrete e contraddittorie della complessità dei sentimenti: forse l’unico indizio sono quegli insistiti sguardi in macchina, che riecheggiano i momenti più alti di quel suo capolavoro Fuori dal Mondo, quei primi piani larghi e sorridenti anche mentre si racconta un passato che è di morte, di assenza, di privazione emotiva. Che poi sono forse le sequenze nelle quali meglio si comprende come le parole, l’impalcatura letteraria, siano profondamente, ma anche fluidamente inserite e incastonate nelle immagini, rendendo Zvanì un film dove le due componenti (parola e immagine, forma e contenuto) sono indissolubilmente confluite l’una nell’altra, trasformandosi dolcemente in una dolce lacrima di dolore

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