Close

Lukas Dhont

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Festival di Cannes 2022 Grand Prix (Ex Aequo)

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Close, film diretto da Lukas Dhont, racconta la storia di un'amicizia, quella nata anni prima tra i tredicenni Léo e Rémi. I due sono molto legati e abituati a dimostrarsi affetto in pubblico genuinamente, senza preoccuparsi di cosa possa pensare chi li vede da fuori.
DATI TECNICI
Regia
Lukas Dhont
Interpreti
Eden Dambrine, Gustav De Waele, Émilie Dequenne, Léa Drucker, Léon Bataille, Kevin Janssens, Igor van Dessel, Marc Weiss
Durata
105 min
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Lukas Dhont, Angelo Tijssens
Fotografia
Frank van den Eeden
Montaggio
Alain Dessauvage
Musiche
Valentin Hadjadj
Distribuzione
Lucky Red
Nazionalità
Belgio
Anno
2022
Classificazione
Tutti

Presentazione e critica

Leo e Remi sono amici per la pelle. “Quasi fratelli” si definiscono loro, i due dodicenni sono cresciuti insieme tra giochi nei boschi, corse a perdifiato in campagna e con la presenza costante di due famiglie amorevoli. Il legame che li unisce viene messo a dura prova con l’ingresso alle scuole medie: Leo è più estroverso, capace di stringere più facilmente amicizia con i coetanei, Remi è invece più sensibile, a disagio se inserito nelle dinamiche tipiche dei bambini di quell’età. Il fatto, poi, che i due siano così legati gli tira addosso le prese in giro di alcuni compagni, che fraintendono il loro rapporto.

Se Remi non sembra preoccuparsi – per lui l’unica cosa importante è l’amicizia con Leo -, l’altro vuole sentirsi incluso nel nuovo gruppo. Il repertino allontanamento da parte di Leo, che un giorno non aspetta Remi per andare a scuola insieme, porterà ad uno scontro e scatenerà una serie di conseguenze drammatiche, che cambieranno le vite dei due bambini e delle loro famiglie per sempre.

Close è un film che parla di un periodo estremamente delicato nella vita di qualsiasi persona, di crescita e di cambiamento profondo. Un periodo in cui il bisogno di sentirsi accettati supera i desideri di quando si era bambini, supera anche il bisogno di mantenere quelle amicizie che prima significavano tutto, ma che ora iniziano a sembrare ostacoli. Il film ci mostra come non tutti i bambini che si approcciano all’adolescenza lo facciano con gli stessi strumenti, con la stessa sensibilità. E che quei problemi che – dalla prospettiva di un adulto – possono sembrare inezie superabili, da quella di un dodicenne arrivano ad assomigliare a mostri oscuri, imbattibili. Non ci sono famiglie problematiche in Close, solo genitori amorevoli, che però non riescono a prevedere le conseguenze che certi cambiamenti e situazioni possono avere sulla vita dei loro bambini.

Aiutato da scelte registiche perfettamente riuscite e funzionali – come i continui primi piani sui volti dei protagonisti o la camera che li segue costantemente -, una fotografia calda, che crea un’atmosfera che ha i sapori nostalgici dell’infanzia e, soprattutto, la bravura dei due giovani interpreti, Lukas Dhont realizza una piccola opera d’arte, un film toccante che – secondo noi – è solo uno dei primi tasselli di una sorprendente carriera.

Movieplayer

(…) Qualunque cosa significhi il legame di Léo e Rémi, un sentimento più profondo di una semplice amicizia o una fraternità tenace, non è, non dovrebbe costituire, un problema per nessuno. Eppure un problema finisce per diventarlo, almeno agli occhi della maggior parte dei ragazzi e delle ragazze della scuola e questa è una delle verità più scomode di Close. Perché nell’immaginario di questi nostri tempi auspicabilmente più aperti e inclusivi, la costruzione di un’identità, sessuale ma non solo, libera da pregiudizi e ottusità, dovrebbe essere, se non una pratica di routine, quasi.

Non è così, ovviamente, da nessuna parte. La regia di Lukas Dhont amaramente conferma, illuminando una verità paradossale, perché sono proprio i più giovani, teoricamente la classe anagrafica più in sintonia con la modernità di certi discorsi, a proporre visioni del mondo stereotipate e francamente indifendibili. Dei due, Léo è il più intraprendente e reagisce alle pressioni conformiste adattandosi alla meglio, dandosi all’hockey, abbracciando lo status quo mascolino e virile, mentre il riflessivo Rémi sceglie una via più malinconica e introversa. A poco vale il calore e la presenza rassicurante di Nathalie e Sophie, che da madri di Léo e Rémi possono ma fino a un certo punto. Close non fa sconti. E se è chiaro che qualcosa si è rotto, tra i due ragazzi, difficilmente potrà ricomporsi e tornare esattamente come prima.

Un’intimità guastata dalla stupidità del mondo. La prima cosa azzeccata che fa Lukas Dhont con Close è di scegliere la coppia giusta di protagonisti. Il timido Gustav de Waele e il più rumoroso Eden Dambrine portano in dote al film una grazia tenera e non sentimentale, una disponibilità allo stupore e il ritratto di una vulnerabilità senza retorica. Vulnerabili, i due giovani, perché vivono il loro rapporto senza bisogno di mediazioni, la loro comunicazione è infatti essenzialmente un linguaggio del corpo che va oltre le parole e si appoggia ad altro. Al silenzio, alla musica, alle lacrime, alla forza plastica di corpi che corrono e lottano. Resistono finché le sirene conformiste della società non si fanno sentire, poi sono costretti a scendere a compromessi.

Close è anche la storia di un duello a distanza tra la campagna e la città. L’una, incarnazione di una spontaneità del vivere e di una piena sintonia con i propri desideri; ovvia vicinanza e un rapporto più armonico con la natura, cortesia di una fotografia di toni caldi e pastosi. L’altra, la morale sociale, tabù e cattive abitudini, un’estetica fredda e meno accogliente. La morale della favola è un promemoria sgradito ma necessario: costruire un’identità, qui l’orientamento sessuale è una parte, non la totalità del discorso, è possibile ma non si pensi a un lineare tragitto dal punto a al punto b. Qualcosa si perde sempre.

Quello i protagonisti di Close perdono è il privilegio di una bellissima intimità, condannata per il fatto di rompere con le regole della società nel momento in cui sceglie, per esprimersi, una lingua che rifiuta la convenzionalità delle parole, dei codici di comportamento prestampati e delle regole polverose. Lukas Dhont fa del suo secondo film un ragionato contrappunto al primo. Entrambi racconti di formazione (coming of age) disseminati di ostacoli, ma dove il primo costruiva la sua identità lavorando di fino sul corpo, qui la battaglia è intima. Sensibile ma non morboso, poetico ma non sentimentalista, Close è un altro solido mattoncino verso la costruzione di un’autentica visione d’autore.

Cinematographe

Close ci racconta molte cose su diversi livelli e attraverso diversi elementi. Uno di quelli che spicca sicuramente più di altri e l’ambientazione del film, che fa da contorno e allo stesso tempo diventa protagonista di questo dramma sublime. I campi di papaveri che splendono e riflettono una sfumatura dorata tipica della campagna, accompagnate dall’uso pensato delle luci che creano giochi di colori caldi.

Dall’oro del grano al rosso dei fiori e al giallo dell’erba estiva, i due protagonisti corrono spensierati, seguiti da lunghi piani sequenza, la libertà che emerge dalle immagini è decisamente poetica. Con lo scorrere dei frame, percepiamo anche lo scorrere del tempo, i rapporti che si complicano e le piogge che arrivano prepotenti, facendo subentrare blu e grigio nella gamma dei colori, sintomo dell’arrivo dell’inverno e della crisi che verrà poi affrontata durante il film.

L’elemento che rende Close un piccolo capolavoro è sicuramente la sceneggiatura. Scritta a quattro mani dal regista Lukas Dhont e da Angelo Tijssens, ha un ritmo estremamente calmo, riesce a giocare molto sui silenzi senza sprecare parole inutili. Sono proprio le pause e i “non detti” nel film che rendono la storia così profondamente reale, la difficoltà della comunicazione che si abbraccia ad una bravura immensa da parte degli interpreti di riuscire a urlare senza emettere nemmeno un suono.

Tutto è equilibrato, parole calibrate alla perfezione, non ci sono esagerazioni e nemmeno quelle “frasi ovvie” tipiche, tendenzialmente, del cinema italiano come di quello hollywoodiano. Una sceneggiatura che, leggendola senza guardare le immagini, probabilmente ci darebbe la sensazione di leggere il diario segreto di qualcuno. Sicuramente gli interpreti hanno svolto un lavoro eccezionale dando alle lunghe scene di silenzi mille significati. Non solo Eden Dambrine e Gustav de Waele sono stati incredibili, ma anche Émilie Dequenne ha dato prova di controllo ed esperienza per quanto riguarda il suo personaggio, la madre di Remi.

Hynerd