C’è ancora domani

Paola Cortellesi

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David di Donatello 2024: Premio David dello spettatore, Premio David Giovani, Premio miglior regista esordiente e migliore attrice protagonista a Paola Cortellesi, Premio migliore attrice non protagonista a Emanuela Fanelli, Premio migliore sceneggiatura originale

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Delia è la moglie di Ivano, la madre di tre figli. Moglie, madre. Questi sono i ruoli che la definiscono e questo le basta. Siamo nella seconda metà degli anni ’40 e questa famiglia qualunque vive in una Roma divisa tra la spinta positiva della liberazione e le miserie della guerra da poco alle spalle. L’unico sollievo di Delia è l’amica Marisa, con cui condivide momenti di leggerezza e qualche intima confidenza. È primavera e tutta la famiglia è in fermento per l’imminente fidanzamento dell’amata primogenita Marcella, che, dal canto suo, spera solo di sposarsi in fretta con un bravo ragazzo di ceto borghese, Giulio, e liberarsi finalmente di quella famiglia imbarazzante. Anche Delia non chiede altro, accetta la vita che le è toccata e un buon matrimonio per la figlia è tutto ciò a cui aspiri. L’arrivo di una lettera misteriosa però, le accenderà il coraggio per rovesciare i piani prestabiliti e immaginare un futuro migliore, non solo per lei.
DATI TECNICI
Regia
Paola Cortellesi
Interpreti
Paola Cortellesi, Valerio Mastandrea, Emanuela Fanelli, Vinicio Marchioni, Giorgio Colangeli, Romana Maggiora Vergano, Francesco Centorame, Lele Vannoli, Paola Tiziana Cruciani, Yonv Joseph, Alessia Barela, Federico Tocci, Priscilla Micol Marino, Maria Chiara Orti, Silvia Salvatori, Mattia Baldo, Gianmarco Filippini
Durata
118 min
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Furio Andreotti, Giulia Calenda, Paola Cortellesi
Fotografia
Davide Leone
Montaggio
Valentina Mariani, Lele Marchitelli
Distribuzione
Vision Distribution
Nazionalità
Italia
Anno
2023

Presentazione e critica

Non importa di che estrazione sociale siano: indipendentemente dal livello di istruzione ed economico, tutti gli uomini del film d’esordio come regista di Paola Cortellesi dicono alla protagonista Delia, da lei interpretata, che “se deve impara a sta’ zitta”. L’attrice più popolare del cinema italiano contemporaneo non ci sta e, preso in mano il microfono, ne ha diverse di cose da dire. Alla faccia di chi fa notare con pregiudizio – senza domandarsi mai davvero cosa abbiano da raccontare, fermandosi soltanto al perché – come, in questi ultimi anni, molte attrici stiano passando dietro la macchina da presa. Nello scrivere la recensione di C’è ancora domani possiamo dire che Cortellesi ci ha stupito: non è soltanto importante ciò che dice, ma anche come.
Siamo nell’Italia del primissimo dopoguerra, per la precisione nel 1946, nei giorni precedenti al voto tra Repubblica e Monarchia, primo suffragio universale del nostro paese. In un bianco e nero che ricorda i film del Neorealismo (la fotografia è di Davide Leone) capiamo subito che la vita di questa donna non è semplice: oltre a curare casa e prole fa tre lavori diversi. Nonostante il suo impegno quotidiano, niente sembra sufficiente per il marito Ivano. Un Valerio Mastandrea che raramente abbiamo visto così cattivo sul grande schermo. L’uomo la umilia, la svaluta. E soprattutto la mena, come si dice a Roma. Tanto. A ogni minimo cambiamento d’umore. Perfino la mattina appena svegli. Nonostante tutto, Delia lavora a testa bassa, per i tre figli, in particolare la maggiore, Marcella (Romana Maggiora Vergano, una rivelazione). La ragazza vorrebbe studiare, ma il padre invece pensa soltanto a farla sposare bene, in modo da togliersi di torno una bocca in più da sfamare. E magari guadagnarci pure. Sì perché in questa casa, oltre ai genitori e ai tre ragazzi, c’è anche il nonno Ottorino (Giorgio Colangeli): sentendolo parlare si capisce immediatamente da dove provenga la violenza di Ivano, che picchia la moglie anche perché odia profondamente se stesso e quindi ha bisogno di qualcuno da far sentire peggiore. L’uomo non è il solo a prendersela con Delia: anche la figlia la insulta, le dice che non vale niente, che è debole perché non reagisce. In realtà rivede in lei se stessa, il suo futuro.
Paola Cortellesi quest’anno compie 50 anni, eppure ha scritto (insieme agli sceneggiatori Furio Andreotti e Giulia Calenda), diretto e interpretato un film pieno di “rabbia giovane”. Questo perché la rabbia delle donne non ha tempo: in un mondo fatto su misura per gli uomini, rientrare nel genere considerato “minore” è un peccato originale con cui bisogna fare i conti ogni giorno. Soprattutto quando capisci che, per quanto tu possa lavorare, per quanto ti spremano, sarai molto spesso pagata meno, considerata meno. Anche fastidiosa, quando cercherai di dire la tua. Perché “quello è omo!”, come dice a Delia un suo datore di lavoro, quando gli chiede spiegazioni sulla differenza di compenso. Nonostante le donne come lei, madri, nonne e sorelle, siano le fondamenta su cui si basa la società, la nostra incrollabile cultura patriarcale – magari ora in modo meno sfacciato – dice sempre loro “e ringraziate che vi facciamo esistere”.
È evidente quando il fidanzato di Marcella, Giulio (Francesco Centorame), nonostante si presenti come un ragazzo dolce e innamorato, ripete presto schemi già visti: possesso, violenza, prevaricazione. Ecco perché il film di Paola Cortellesi ha una forza che serve come non mai, soprattutto oggi, quando pensiamo che la società abbia fatto grandi passi in avanti e invece orrendi fatti di cronaca ci smentiscono quasi quotidianamente. L’utilizzo di canzoni moderne in un film ambientato quasi 80 anni fa non è quindi casuale: storie come questa possono sembrarci lontane, invece accadono quotidianamente, anche nel “civile” 2023. Dare per scontati diritti come quello di voto, al divorzio e all’aborto, conquistati, se ci pensiamo, praticamente ieri, è un pericolo insidioso. Non bisogna abbassare la guardia.
Cortellesi non lo fa di certo e ha la grande intelligenza di rendere anche istruttivo il proprio film, senza però mai fare la morale, la lezione o uno “spiegone-manifesto”. Nonostante la pesantezza del tema, C’è ancora domani è infatti un film molto divertente – grazie a quell’ironia popolare e acutissima di Cortellesi, spalleggiata qui in modo stupendo da Emanuela Fanelli, che ha il ruolo di Marisa, migliore amica della protagonista -, dal ritmo incalzante, che, anzi, ha proprio come cifra stilistica quella di smorzare e dissacrare ogni climax emotivo, che sia positivo o negativo. Ecco quindi che l’ennesima scarica di colpi diventa un ballo in cui i lividi spariscono, o una scena d’amore viene “sporcata” da della cioccolata rimasta tra i denti. È un esordio più che riuscito quello di Paola Cortellesi: finalmente qualcuno nel cinema italiano che non è nostalgico del passato, anzi, ma è invece totalmente proiettato verso il futuro. Un film che sarebbe bello le madri vedessero insieme alle figlie e, si spera, vedano anche padri e figli. Per capire che non basta dire “io non sono così”, ma è il momento di dire: non voglio che queste cose succedano ancora e ancora, cosa posso fare?

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Una lettera misteriosa. Il mittente sembra sconosciuto. Cosa c’è scritto? E soprattutto, chi l’ha mandata? Nel corso di C’è ancora domani quella lettera diventerà un dettaglio fondamentale. E forse già da quel dettaglio parte il primo omaggio del film al cinema italiano degli anni ’30 e ’40, tra l’evasione cameriniana dei ‘telefoni bianchi’ al Neorealismo con l’immagine della famiglia numerosa che vive in un seminterrato, le scritte sui muri di una Roma post-bellica (“Abbasso i Savoia, Viva la Repubblica”), la fila davanti all’alimentari per comprare la pasta e la presenza ancora di qualche camionetta degli americani in città. Delia è sposata con Ivano ed è madre di tre figli. In casa con loro vive anche il suocero Ottorino. Il marito è spesso autoritario e violento nei suoi confronti. Ma lei sopporta, ingoia, e va avanti. Fa più lavori e si occupa contemporaneamente di tutti i bisogni della famiglia. L’unico vero conforto è l’amicizia con Marisa, che ha un banco di frutta e verdura con cui si confida e gli incontri fugaci con Nino, un meccanico che un tempo aveva amato. Quando la figlia annuncia il fidanzamento con Giulio, figlio dei proprietari ‘arricchiti’ di un bar, cerca di organizzare un pranzo a casa sua nel miglior modo possibile. Ma, pur sembrando spesso sottomessa, quella vita inizia a starle stretta.
Comincia con uno schiaffo, finisce in mezzo a una folla numerosissima. Il primo film da regista di Paola Cortellesi è più che convincente proprio per come ricostruisce nel dettaglio l’atmosfera dell’Italia del dopoguerra sottolineata dal bianco e nero della fotografia di Davide Leone. Segue con complicità la sua protagonista, interpretata dalla stessa Cortellesi, il suo sguardo basso spesso sottomesso, spesso rassegnato. Ma Delia ogni tanto la testa la alza anche quando sta per essere picchiata dal marito, quando trova in Marisa lo stimolo per una vita diversa e soprattutto in quella lettera, prima gettata, poi recuperata. (…)
(…) C’è ancora domani è pieno di affascinanti contrasti come quello tra la scritta del titolo del film in apertura che sembra arrivare dal cinema anni ’40 e il ralenti successivo. Una specie di Neorealismo rock che racconta con passione e amarezza la condizione della donna costretta a vivere in un ambiente, anche quello fisico della casa, che sembra una galera. La consapevolezza è già in quegli sguardi tra le porte tra Delia e la figlia Marcella. C’è un momento in cui il fidanzato della ragazza le afferra la gola e Delia rivede forse tracce di un suo passato. In parte è la risposta italiana ai film britannici sui diritti femminili come Suffragette e We Want Sex. Il primo più evidente in quanto condivide il tema del diritto del voto alle donne, l’altro più periferico ma ugualmente importante sulla parità di retribuzione sul lavoro. C’è una scena infatti in cui Delia chiede a uno dei suoi datori di lavoro perché un ragazzo appena assunto già guadagna più di lei. E lui gli risponde: “Quello è omo, no?”. Pero C’è ancora domani è più bello di tutti e due. C’è la realtà ma ci sono anche i sogni. Un’improvvisa danza musical con il marito interpretato da Valerio Mastandrea o la macchina da presa che gira attorno a Delia e Nino sulle note di M’innamoro davvero di Fabio Concato. Tutti slanci visionari fino a un finale trascinante. E l’archivio della storia vera nei titoli di coda (il primo voto delle donne nel 1946) si confonde con quelle immagini. Lo sguardo di Delia non è più basso. E ora non indietreggia ma guarda e cammina avanti.

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