Finalmente l’alba

Saverio Costanzo

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Roma, anni Cinquanta. La diciottenne Mimosa si reca a Cinecittà con la sorella per partecipare ai provini delle comparse di un kolossal americano girato all'epoca della Hollywood sul Tevere, e a sorpresa viene scelta per un ruolo minore. La star del film, Josephine Esperanto, la trascina con sé in una notte brava attraverso i luoghi della "dolce vita" romana, in un universo privo di regole (e di scrupoli) animato da narcisismi e rivalità, ma anche da una fame di vita che vede nella nuova arrivata una fonte di linfa vitale. Arriverà l'alba a concludere questa rocambolesca avventura notturna?
DATI TECNICI
Regia
Saverio Costanzo
Interpreti
Lily James, Rebecca Antonaci, Joe Keery, Rachel Sennott, Alba Rohrwacher, Benjamin Stender, Willem Dafoe, Sofia Panizzi, Carmen Pommella, Giovanni Moschella, Enzo Casertano, Michele Bravi, Giuseppe Brunetti
Durata
119 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Saverio Costanzo
Fotografia
Sayombhu Mukdeeprom
Montaggio
Francesca Calvelli
Musiche
Massimo Martellotta
Distribuzione
01 Distribution
Nazionalità
Italia
Anno
2023

Presentazione e critica

Il cinema come magia, Cinecittà come sua terra di elezione negli anni Cinquanta. L’epoca d’oro degli studi romani, ieri come oggi capaci di ospitare grandi produzioni americane in trasferta, fa da sfondo alla storia di formazione “tutto in una notte” in cui una ragazza della Roma popolare e una stella del cinema, star in città per un kolossal ambientato nell’antico Egitto, incroceranno i loro destini.

Un gioco di sguardi le avvicina e le farà poi allontanare, quando arriverà Finalmente l’alba. Entrambe, a modo loro, cambiate, per una storia di perdita dell’innocenza, quella del cinema stesso nella sua percezione da parte e dell’opinione pubblica e quella di Mimosa, ingenua giovane donna con la voglia di sognare. Un paese intero, ancora insicuro e con il miracolo economico di là da venire, si scopre meno sicuro. Saverio Costanzo, al ritorno al cinema dopo la pausa seriale come L’amica geniale, indirizza Mimosa sulle tracce della Dalia nera italiana, Wilma Montesi, ragazza uccisa barbaramente a pochi passi da un ritrovo salottiero della Roma di potere, economico e politico. Un femminicidio di una comparsa che ebbe un ampio risalto all’epoca e che rappresenta una sorta di monito quando la giovane si avvicina all’antro del mostro, alla tentazione notturna di brividi di novità e piacere in un mondo di privilegio a lei così lontano.

Due eventi destinati a chiudere un’era e aprirne un’altra nel rapporto fra cronaca nera e società. Dalla California alla Roma che (ancora solo) aspirava alla Dolce vita anche fuori dai confini di Cinecittà. Non casualmente due luoghi d’elezione per il cinema, in cui il sogno e le luci dei riflettori possono in un attimo spegnersi e trasformarsi nell’abuso di quel candore che ancora accomunava l’auto percezione dell’Italia, o almeno quella imposta dai media. Quel candore che Mimosa perderà, quando il giorno lascerà spazio alla notte, alle commistioni fra gli attori spogliati dei loro abiti di scena, quindi (ri)diventate creature insicure e dalla grande fragilità, e i salottieri in cerca di uno spicchio di luce.

È un viaggio nel tempo e nello spazio, quello che compie Mimosa dopo essere entrata nel campo d’attrazione della magnetica Josephine Esperanto, che la vede come capriccio, come divagazione di una sera, in cerca di una fuga di normalità oltre l’eterno gioco di società che è costretta ad accettare. Comincia come un Bellissima dal verace umorismo romanesco, Finalmente l’alba, con la madre in cerca di un futuro all’altezza della bellezza della figlia maggiore – allora perché non un provino nel cinema? – e un marito per la piccola, più bruttina. Ma da copione sarà l’accompagnatrice a venire notata, la Mimosa interpretata con grande candore, ma anche presenza carismatica da Rebecca Antonaci, due occhi pieni di curiosità e pronti a mettersi in gioco.

A quel punto la capacità seduttiva del cinema è messa in atto con delle splendide sequenze girate nel set egiziano del kolossal a Cinecittà. Una giornata inattesa e da sogno, solo l’antipasto per un giro in macchina con la star e il suo co-protagonista Sean Lockwood, pieno di insicurezze ma in realtà ben più talentoso della diva. A fare da autista e cicerone un produttore e uomo d’affari dai modi gentili interpretato da un Willem Dafoe nei panni (autobiografici) dell’americano a Roma. Un passaggio verso casa, poi diventata una cena, una festa e un viaggio nei gironi danteschi delle notti romane, proprio quelle che avevano inghiottito Wilma Montesi. Più che cinema nel cinema, un film che contiene un cinegiornale di cronaca nera al suo interno. Mimosa osserva, spaesata quando parlano in inglese, lingua che non conosce, mentre dovrebbe tornare a casa. Un circo di bestie ferite in cerca di visibilità, in cui l’autenticità della giovane risalta come il rosso pieno del vestito che la diva le regala. Non chiede niente e non giudica, ma quella notte imparerà a conoscersi un po’ di più, a sostenere lo sguardo degli altri e, soprattutto, quello di sé stessa.

 

Comingsoon.it

La ventunenne Wilma Montesi, aspirante attrice e occasionale comparsa a Cinecittà, venne trovata morta sulla spiaggia di Torvaianica l’11 aprile 1953, due giorni dopo una festa a cui avevano partecipato diverse personalità dell’alta borghesia romana, tra cui Piero Piccioni, jazzista figlio dell’allora ministro degli esteri Attilio. Da allora, il corpo riverso e il nome di Wilma Montesi ha rappresentato l’altra faccia, quella vera forse, del mondo del cinema: la sua seduzione, il suo inganno. (…) Nel film siamo nei giorni successivi al ritrovamento del cadavere, ma nella villa in cui si tiene un’altra “festa elegante” nessuno sembra farci caso. Nessuno ha tempo, voglia e bisogno di guardare la realtà. Del resto, nelle riprese del film americano che si gira a Cinecittà, ambientato nell’antico Egitto, gli occhi dei prigionieri sono mangiati dai rapaci e chi sta a guardare è costretto a farlo per «osservare la propria paura», come dice la perfida regina protagonista.

Ed è strano accorgersi di come nel corso del film Costanzo arrivi a identificare una possibile purezza del cinema solamente negando ogni forma di recita e recitazione. In Finalmente l’alba il cinema, più che essere visto, si vive (ad esempio si canta dal vivo la canzone di un celebre musical citato da tutti) e nel finto film mostrato nella prima sequenza è il sacrificio di una vita (di Wilma Montesi?) a salvarne un’altra (anche se in questo caso viene da porsi un dubbio storiografico: nel 1953 si giravano ancora, prima della ripresa a fine decennio, opere ambientate durante l’occupazione di Roma, essendosi esaurita da un po’ l’onda del neorealismo?).

E non è certo casuale che nella scena chiave del film, durante la festa a cui la povera Mimosa è trascinata controvoglia (lei che è figlia di gente semplice e come Wilma è fidanzata con un poliziotto), è un intenso e inconsapevole momento di silenzio della protagonista – chiamata a interpretare anche lei un ruolo e investita di una seconda personalità che non le appartiene: una poetessa svedese di nome Sandy – a generare emozione e pianto, scambiato da tutti i presenti (attori, attrici, pittori, musicisti, dame e signori) per una delle più grandi interpretazioni mai viste. (…) Mimosa è una altra Wilma Montesi, chiaramente, ma il suo destino scarta rispetto a una storia già scritta. È un volto anonimo, non conforme ai canoni di bellezza dell’epoca, e proprio per questo è scelta dall’attrice Josephine Esperanto/Lily James e finisce per sedurre il compagno di set Sean Lockwood/Joe Keery: il giorno dopo la notte potrebbe vivere una nuova vita, oppure tornare a quella di prima, consapevole di un sogno che la realtà ha scalfito.

 

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