Green border

Agnieszka Holland

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Dopo essere stato sconfitto democraticamente da Sviatlana Tsikhanouskaya, nel 2021 Alexander Lukashenko permette ai rifugiati provenienti dal Medio Oriente e dall'Africa di attraversare la Bielorussia per raggiungere l'Europa. Il suo, però, non è un gesto magnanimo, bensì un modo per sovraccaricare il programma europeo di reinsediamento dei migranti, portando a una vera e propria crisi umanitaria. In risposta, la vicina Polonia costruisce un muro d'acciaio e di filo spinato per fronteggiare i massicci ingressi. Fra i rifugiati che arrivano a Minsk, c'è una famiglia di rifugiati siriani e un insegnante di lingua inglese dall'Afghanistan: riusciranno a superare il confine o saranno fermati dalle milizie dello Stato?
DATI TECNICI
Regia
Agnieszka Holland
Interpreti
Behi Djanati Atai, Agata Kulesza, Maja Ostaszewska, Tomasz Wlosok, Piotr Stramowski, Jasmina Polak, Magdalena Poplawska, Maciej Stuhr, Marta Stalmierska
Durata
147 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Agnieszka Holland, Gabriela Lazarkiewicz-Sieczko, Maciej Pisuk
Fotografia
Tomasz Naumiuk
Musiche
Frédéric Vercheval
Distribuzione
Movies Inspired e Circuito Cinema
Nazionalità
Polonia, Francia, Repubblica Ceca
Anno
2023

Presentazione e critica

2021. Una famiglia siriana atterra a Minsk per cercare di raggiungere il confine tra Bielorussia e Polonia e, una volta entrata nell’Unione Europea, raggiungere dei parenti in Svezia. Ma la foresta che separa i due paesi è ormai teatro di una guerra di sopravvivenza per i rifugiati, presi in mezzo tra la propaganda del presidente bielorusso Lukashenko, che li attira nel paese per sovraccaricare il confine e destabilizzare i governi occidentali, e la violenta repressione da parte della polizia di frontiera polacca, che su ordine del governo Duda cerca di ricacciarli indietro senza alcun riguardo. Il cinema di denuncia sociale e politica di Agnieszka Holland non poteva non interessarsi alle turbolenze del presente che interessano in maniera diretta la sua patria, la Polonia, già in un tumulto interno per le politiche del governo e messa in una situazione ancor più delicata prima e durante l’invasione russa dell’Ucraina.
Proprio in Ucraina Holland aveva appena ambientato Mr. Jones nel 2019, ricordando la carestia di matrice sovietica che distrusse il paese negli anni trenta. Prima ancora, la regista si è occupata a più riprese dell’Olocausto, come nel suo film forse più celebre, Europa Europa, nel 1991.

Naturale quindi che uno dei nomi di spicco del cinema polacco moderno abbia deciso di mettere in scena il travaglio umano delle migliaia di persone coinvolte in un sadico gioco di rappresaglia politica tra paesi e tra blocchi globali, in un corposo dramma in bianco e nero che vuole offrire molteplici punti di vista sulla vicenda. Lo fa in quel modo diretto, senza fronzoli e contundente che abbiamo imparato ad aspettarci da lei, autrice guidata dal principio – non privo di un certo didatticismo – che certe cose vadano semplicemente portate alla luce: GREEN BORDER è pieno di sofferenza e angherie, non lesina negli appelli diretti alla pietà spettatoriale, cerca emozioni forti costruendo una storia di abusi vergognosi su donne, anziani e bambini. Il fatto che sia storia recente, e anzi decisamente ancora in corso, impone una certa precisione documentaria seppur nei contorni della finzione. Holland in questo è diligente e cerca di non fare buoni e cattivi, mettendo in chiaro quanto i destini delle persone innocenti siano effetti diretti di propagande incrociate, che letteralmente si rimpallano corpi sopra una rete di filo spinato in un assurdo gioco senza fine. Anche la struttura vuole coprire tutte le basi, concentrandosi non solo sulla famiglia di protagonisti ma sugli attivisti polacchi che offrono soccorso volontario lungo il confine, sulla singola guardia che sceglie di non bersi le istruzioni del superiore che equipara persone alle pallottole, e su una donna “civile” che scopre l’impegno quando viene messa di fronte alle atrocità.
Di particolare interesse per il pubblico italiano che è protagonista di un fronte diverso per quanto riguarda le emergenze migratorie, e che forse nello specchio di un’altra frontiera potrà mettere in prospettiva qualcuna delle impellenti questioni nostrane, il film non rinuncia poi a un’altra riflessione scomoda, arrivando a includere lo scoppio della guerra in Ucraina con conseguente afflusso di rifugiati diretti verso la Polonia, e conseguente ricordo dell’ipocrisia eurocentrica nei modi in cui classifichiamo “l’altro”.

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Esistono in Europa strisce di terre desolate, veri sacrari moderni alimentati da un imperfetto se non inaccettabile modo di intendere la difesa dei diritti. Agnieszka Holland con il suo GREEN BORDER ci accompagna in una di queste strisce, in quell’inferno che è esistito e che esiste sul confine tra Polonia e Bielorussia quando, all’inizio della guerra in Ucraina, vennero accolti i profughi provenienti da quelle zone di guerra e respinti malamente gli altri che da altre guerre provenivano e da altri lutti e altre fami. GREEN BORDER è un film spaventosamente doloroso che racconta in successivi capitoli l’esodo di una famiglia proveniente dalla Siria e di altri profughi che viaggiano con loro. Racconta della brutalità della Polizia di frontiera e dell’esercito, racconta di morte e di freddo, ma il suo racconto necessario si rivolge anche verso chi solidarizza con i profughi, attraverso quella rete sotterranea e carbonara che salva vite a rischio della propria.
In un bianco e nero che trasmette il freddo dei luoghi e il sapore acido delle paludi nelle quali si muore annegati, Agnieszka Holland compone un dramma esistenziale a tratti toccante che scopre i nervi scoperti di responsabilità che sono politiche, ma che non casualmente nascono. Un film che sa diventare forte atto d’accusa nei confronti dell’inerte Europa politica e soprattutto nei confronti del proprio stesso Paese che alimenta i respingimenti e i maltrattamenti. Lungi dall’essere un pamphlet arrabbiato, GREEN BORDER che sicuramente verrà accusato di facile didascalismo o semplicismo narrativo, è piuttosto una cronaca, un diario di incessante fatica, di inesausto desiderio di raccontare la propria versione dei fatti.
Molto si potrebbe riflettere su un film del genere che arriva, in questi anni così duri e difficili, dove forse neppure il reportage può arrivare, in quella fusione tra fiction e realtà che trova alloggio proprio in quelle immagini del freddo bianco e nero, a mostrare il dolore che si forma in quel luogo preciso dove annega ogni speranza di sopravvivenza. È qui che ci si può domandare se l’arte o il cinema debbano occuparsi di questi temi entrando nell’agone di una visione politica. La regista polacca è cosciente di questa sua decisione e ne esplicita le ragioni: “Non ha alcun senso impegnarsi nell’arte se non si lotta per quelle voci, se non si lotta per porre domande su questioni importanti, dolorose, a volte irrisolvibili, che ci mettono di fronte a scelte drammatiche. Questa è esattamente la situazione in atto al confine tra Polonia e Bielorussia”

GREEN BORDER obbliga per questi motivi alla riflessione dopo quel bagno di realtà nel quale ci immerge lavorando con pazienza sui corpi dei suoi rifugiati segnati come da stimmate di redenzione. Cinema di impegno umanitario che scopre ciò che forse sappiamo, ma non sappiamo vedere o conoscere restando invisibili quelle strisce di terre o di mare ai temi dominanti della comunicazione ufficiale. La regista polacca con una attenzione al tema, ma anche alla macchina del cinema che sa dominare con perizia, sembra spingere il suo sguardo dentro le vite dei profughi e al pari dentro quella di un Paese, la Polonia, che pare abbia smarrito ogni sentimento solidale così fortemente manifestato, tanto da diventare bandiera e parola d’ordine della rivolta quando fu il primo Paese a ribellarsi alla dittatura. In quel “vaffanculo” dei giovani in automobile rivolto a ciò che resta della famiglia siriana seduta sull’orlo del marciapiede, il fallimento di ogni principio umano, di ogni comunanza che ci faccia riconoscere a prescindere dai confini, come appartenenti alla stessa specie.

Agnieszka Holland rifuggendo con equilibrio ogni semplicismo e ogni induzione alla facile emozione, ci ha dimostrato, ancora una volta, il potere enorme delle immagini, anche di quelle inventate, ma così somiglianti e sovrapponibili al reale. Ed è proprio di reale che si parla, così materializzato in quella fotografia gelida e pastosa che ci offre il film nella sua esplicita radicalità che diventa terreno scivoloso, facilmente attaccabile per la insita drammaticità degli eventi in quel facile gioco che esclude di per sé ogni ulteriore drammatizzazione. Ma GREEN BORDER trasforma in materia vivente le immagini, le storie, le vite e affonda le sue radici in quelle terre desolate, in quei sacrari non ufficiali dove si consumano tragedie invisibili, volano via vite umane che non hanno goduto di alcun rispetto. Un racconto tragico che vive su questo confine che non è verde, ma grigio e gelido pieno di grida soffocate e di immagini che non sappiamo vedere.

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