Killers of the Flower Moon

Martin Scorsese

Image

Premio Migliore attrice in un film drammatico, Golden Globes 2024

Image
Image
In Oklahoma, nella contea di Osage agli inizi degli anni Venti del Novecento, vengono scoperti nella zona diversi giacimenti di petrolio che permettono a diversi membri della tribù indiana di arricchirsi molto. Questo nuovo stato di benessere dei nativi americani cattura l'attenzione di moltissimi bianchi, che desiderosi di far soldi con il petrolio, iniziano a manipolare, estorcere e sottrarre con l'inganno i beni degli Osage. Parallelamente al loro arrivo in zona verificano una serie di omicidi, aventi come vittime proprio alcuni cittadini facoltosi della tribù e l'FBI decide di aprire un'indagine sui decessi sospetti. Il ranger Tom White viene incaricato di indagare sul caso e scovare il killer autore di tutti questi omicidi. Nelle indagini interviene anche Ernest Burkhart, giovane reduce della Grande Guerra, sposato con l'indiana Mollie.
DATI TECNICI
Regia
Martin Scorsese
Interpreti
Leonardo DiCaprio, Robert De Niro, Jesse Plemons, Tantoo Cardinal, Cara Jade Myers, Janae Collins, Jillian Dion, William Belleau, Lily Gladstone, Jason Isbell, Louis Cancelmi, Scott Shepherd, Sturgill Simpson
Durata
206 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Eric Roth, Martin Scorsese
Fotografia
Rodrigo Prieto
Montaggio
Thelma Schoonmaker
Musiche
Robbie Robertson
Distribuzione
01 Distribution
Nazionalità
Italia
Anno
2023

Presentazione e critica

La musica nei film di Martin Scorsese ha sempre una funzione rivelatrice. Quando c’è un personaggio che si muove in slow motion accompagnato da accordi in sostituzione delle parole, sai immediatamente che quello è un momento importante. Anche all’inizio del suo ultimo film, presentato in anteprima al Festival di Cannes, c’è questa dichiarazione d’intenti. Un indiano Osage più anziano sta praticando un rituale in una tenda, alzando le mani verso l’alto. Stacco. Fuori, dalla terra, erompe con un getto violento del liquido nero. È petrolio. Altri Osage, più giovani, levano le braccia al cielo, cercando di raccogliere le gocce dense. Al rallentatore. Dallo spirituale siamo passati al materiale. Dalla religione al capitalismo. Da Dio al denaro.

Ispirato al libro di David Grann Gli assassini della terra rossa, Killers of the Flower Moon è ambientato nell’Oklahoma degli anni ’20. Se nel romanzo il punto di maggior interesse è la nascita dell’FBI, con il personaggio dell’agente Tom White al centro di tutto, a Scorsese invece non interessa molto la legge. E soprattutto non una crime story come tante, che oggi saturano piattaforme di streaming e podcast. No. Il regista di New York vuole il sangue e il sudore, il marcio, le contraddizioni. Non un uomo integerrimo col distintivo.
Ecco quindi che – anche grazie a una felice intuizione dello stesso Leonardo DiCaprio – Scorsese sposta il punto di vista da quel personaggio al viscido e mediocre Ernest Burkhart. L’attore non è mai stato così sgradevole: proprio come chi, per convenienza e mancanza di talento, segue un capo sempre e comunque, non fermandosi di fronte a crimini terribili e negando la verità fino all’ultimo, anche davanti all’evidenza. Perché in realtà sta mentendo a se stesso. Il capo in questione qui è William Hale, che, come prima cosa, dice sia a Ernest che agli spettatori: “puoi chiamarmi zio, o puoi chiamarmi re”, mettendo subito in chiaro come stanno le cose. In gioco c’è proprio il petrolio degli Osage, diventati i più ricchi cittadini americani. E per questo destinati a essere sterminati dall’avidità dell’uomo bianco.

In Killers of the Flower Moon Robert De Niro e Leonardo DiCaprio, gli attori simbolo di Scorsese, portano su di sé il peso dell’intera filmografia del regista. E anche del peccato originale degli Stati Uniti: il sogno americano non soltanto è un miraggio, ma è un incubo pagato col sangue dei non bianchi. Ernest viene infatti spinto dallo zio a sposare Mollie, ricca Osage che, come le sue tante sorelle, soffre di diabete. Tutte le donne della sua famiglia, non sanno nemmeno loro bene perché, sono attratte da uomini bianchi, che le hanno sposate per interesse, in modo da mettere le mani sulla loro eredità.
Quando incontra Ernest, Mollie ammette che ricorda un coyote: “il coyote vuole i soldi”, gli dice. Eppure non può fare a meno di volerlo: forse per i suoi occhi azzurri, forse perché, nel momento in cui si è fatta corrompere dalla ricchezza, ha perso di vista quella della sua gente, legata più alla terra e alla condivisione che alla proprietà privata. Fatto sta che l’amore per lui la consuma, proprio come la sua malattia. Anche di fronte all’uccisione sistematica di tanti Osage, Mollie rimane spesso in silenzio, stoica, a guardare.
La cosa paradossale è che, nonostante i suoi crimini, nonostante la cieca ubbidienza allo zio, che gli chiede di compiere nefandezze sempre peggiori, anche Ernest ama Mollie. Ama più i suoi soldi, certo, ma comunque la ama. Eppure non riesce a sottrarsi alla volontà di Hale, dissociando completamente la sua parte legata alla moglie da quella pronta a sterminare un’intera popolazione semplicemente perché “ha fatto il suo tempo”. È questa la complessità che interessa a Scorsese, è questo il più grande dei misteri: le contraddizioni dell’animo umano.

C’è tutto il cinema di Scorsese in Killers of the Flower Moon: è un gangster movie, un film spirituale, un western, un crime. In 3 ore e 30, che scorrono magnificamente, il regista ripercorre tutta la sua carriera, questa volta assumendosi la responsabilità del mondo che ha sempre raccontato. Lui mostra i criminali, gli uomini affamati di potere, ma mai come questa volta ne è lontano: li rappresenta ottusi, senza nessun fascino. Il centro emotivo e morale sono invece Mollie e le sue sorelle: nella dignità della donna, nella sua capacità di rispondere con empatia alle persone che la circondano, è lei la vera ricchezza della Nazione Osage, sprecata e calpestata da chi non riesce a capirlo. Lì dove Mollie è la speranza, la vita, Ernest è l’autodistruzione. Come un veleno, il capitalismo ha reso malata la società americana. E siamo stati tutti a volerlo: chi ha cavalcato la caccia all’oro e chi l’ha subita senza opporsi.
A dirigere c’è un autore ormai all’apice della sua padronanza del mezzo cinema, ma Killers of the Flower Moon è grande anche grazie al ricco e magnifico cast. De Niro è alla prova migliore da anni, DiCaprio evoca Brando, quello più logoro e decadente, Lily Gladstone è perfetta e già in lizza per una nomination all’Oscar.
“Le persone se ne fregano” dice un personaggio. Una cosa che invece sarà sempre al centro di tutto sono le storie: come nello splendido finale, in cui Scorsese sembra dire “i fatti sono questi, ma c’è sempre un punto di vista interessante da cui raccontarli”. E il suo è sempre stato quello più difficile e scomodo. Anche stavolta non fa sconti. Ed è per questo che è un viaggio entusiasmante: in un mare di film sempre più simili tra loro, Scorsese ha il coraggio di essere se stesso, senza paura. Nel bene e nel male.

Movieplayer.it

(…) Se volessimo sondare la Storia del cinema, alla ricerca del grande film sugli indiani, quello che li risarcisce dalle nefandezze americane, forse si potrebbe evocare Il grande sentiero di John Ford. Ma il gesto di Scorsese è ancora diverso. Prima di tutto, seppure sia avvolto nell’ambientazione western, Killers of the Flower Moon è un noir. Tale il genere di elezione: dopo la prima parte propedeutica, infatti, il tentacolare racconto si concentra sul rapporto tra il bianco Ernest e la nativa Molly. Se Ernest decide di entrare nei traffici dello zio, partecipando alla trama per le terre, dall’altra parte ama teneramente la moglie, con cui fa figli, e la accudisce contro il nemico diabete. Anche a Molly piace il marito anche se, l’aveva anticipato, non è particolarmente intelligente. Il rapporto tra zio e nipote si propone ovviamente come una riscrittura di quello padre-figlio, e meno banalmente come una variante della dominazione tra master e slave. Con il comportamento mellifluo, con la sua spietata democristianità, De Niro convince DiCaprio a partecipare a un processo che tanto è inesorabile. Tra lui e la moglie inizia allora una dinamica nera degna de Il sospetto di Hitchcock, con la fiala di insulina al posto del bicchiere di latte, e l’uomo che forse comincia ad avvelenare la donna invece di curarla. Quanto ne è consapevole? Cosa sta facendo di proposito e quanto è vittima delle circostanze? Nell’Ernest di DiCaprio, insomma, Scorsese raffigura la trattativa americana con la propria coscienza. Se De Niro è il volto “buono” del Male, l’amico che uccide e preda, il genocidio dolce, DiCaprio è invece il punto di ebollizione delle spinte contrastanti che vivono rimosse nella Storia degli Stati Uniti. Il massacro fu consapevole e organizzato, i paladini della libertà compirono il genocidio? Su questa frattura sofferta si muove il personaggio di Ernest, un colpevole/innocente, una figura shakesperiana soprattutto quando dovrà scegliere se testimoniare o tacere. Il nascente Fbi arriva a indagare sulle brutalità contro gli Osage, ma forse aveva ragione Hall, non si può far altro che constatare l’orrore della Storia.

Tutto questo prende corpo in un film solido, nitido, politico. Un noir che avanza lento e all’improvviso sguscia come un serpente. Scorsese sceglie questa forma di genere, eminentemente cinematografica, per portare alla luce il rimosso: lo fa letteralmente, posizionandolo davanti alla cinepresa, come accade per le luci poste dagli Osage davanti alle loro case per evitare altre morti, che però sembrano anche i lumi dei defunti. Un incubo splendente di cinema neoclassico, nel senso che mentre lo guardi è già classico, viene automaticamente storicizzato nello sguardo.

Nocturno.it

(…) Killers of the Flower Moon è puro Cinema, che ribadisce come non ci siano film lunghi o film brevi, ma solo grandi film o opere minori. Se al termine dei fluviali 206 minuti senza vorticose accelerazioni di ritmo il tempo sembra essersi fermato, allora significa che ogni immagine mostrata era necessaria.
Un film quindi che indirettamente (forse) è anche una riflessione sul tempo, una battaglia sull’affabulazione contemporanea di immagini fast-food: una delle ultime albe sulle montagne imponenti del Cinema.

Cinefacts.it