La Chimera

Alice Rohrwacher

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Ognuno insegue la sua chimera, senza mai riuscire ad afferrarla. Per alcuni è il sogno del guadagno facile, per altri la ricerca di un amore ideale… Di ritorno in una piccola città sul mar Tirreno, Arthur ritrova la sua sciagurata banda di tombaroli, ladri di corredi etruschi e di meraviglie archeologiche. Arthur ha un dono che mette al servizio della banda: sente il vuoto. Il vuoto della terra nella quale si trovano le vestigia di un mondo passato. Lo stesso vuoto che ha lasciato in lui il ricordo del suo amore perduto, Beniamina. In un viaggio avventuroso tra vivi e morti, tra boschi e città, tra feste e solitudini, si svolgono i destini intrecciati di questi personaggi, tutti alla ricerca della Chimera.
DATI TECNICI
Regia
Alice Rohrwacher
Interpreti
Josh O'Connor, Carol Duarte, Vincenzo Nemolato, Lou Roy-Lecollinet, Giuliano Mantovani, Gian Piero Capretto, Melchiorre Pala, Ramona Fiorini, Luca Gargiullo, Yile Vianello, Barbara Chiesa
Durata
134 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Alice Rohrwacher
Fotografia
Hélène Louvart
Montaggio
Nelly Quettier
Distribuzione
01 Distribution
Nazionalità
Italia, Svizzera, Francia
Anno
2023

Presentazione e critica

Anni Ottanta. Arthur ha un talento raro: riesce a percepire, come un rabdomante, la presenza delle tombe etrusche che costellano il litorale tirrenico, virtù apprezzata dai suoi amici tombaroli in cerca di reperti da rivendere al mercato nero. Ma mentre loro inseguono un profitto di sopravvivenza che non li renderà mai ricchi (perché quello è il “talento” dei grandi trafficanti), “l’inglese” è alla disperata ricerca di un passaggio verso l’aldilà che potrebbe ricongiungerlo a Beniamina, la ragazza che ha amato e perduto. Italia, a dispetto del nome, è straniera come Arthur, ed è l’unica in grado di accendere nel giovane uomo un nuovo interesse per la vita. Va a stanarlo sulle pendici della città, dove vive in una baracca che solo lei trova bella, e solleva il suo sguardo da quella terra che lo attira come un magnete. Italia è anche l’unica ad intravedere, fra gli incroci dei rami che paiono bacchette da rabdomante, il fantasma di certi uomini appesi a testa in giù, rivolti verso il mondo di sotto come Orfei irresistibilmente attratti da una loro Euridice.

La chimera (obiettivo perennemente elusivo, ma anche creatura composta da parti animali diverse, come lo è ogni straniero) racconta una ricerca ostinata – di morte, di vita, di riscatto dalla povertà e di accumulo materiale – con il passo folk del cantastorie, evidenziandone il lato picaresco e quello simbolico. È una battaglia tra vettori contrapposti – fedeltà e desiderio, bene comune e possesso, predestinazione e libero arbitrio – che strattonano qua e là gli esseri umani, incapaci di seguire semplicemente le traiettorie del volo degli uccelli secondo “le regole assegnate a questa parte di universo”. Ed è un film completamente libero come sa esserlo il cinema di Alice Rohrwacher, che sceglie il tempo del racconto cominciando lentamente, per dare al suo protagonista lo spazio di una rincorsa fatale, e accelerando in “ascese velocissime” che rivelano una comicità da film muto. Anche il formato diviso in tre – 16mm, super 16 mm e 35mm – testimonia la libertà espressiva dell’autrice di scegliere ciò che le è utile a narrare, ponendosi come unico imperativo l’aderenza totale alla storia e ai personaggi. Nel suo immaginario si rintracciano Pasolini, il Fellini di Roma (gli affreschi che cambiano colore quando viene scoperchiato il loro nascondiglio) e di La dolce vita (la statua che sorvola il mondo) e la visionarietà “femminile” di Lucrecia Martel, ma non c’è nulla di rielaborato e tutto di restituito a quel territorio, e quel cinema, saccheggiato dai suoi stessi abitanti, più che dagli “stranieri”. Fra gli interpreti spiccano Isabella Rossellini nei panni di Flora, l’anziana insegnante di canto, accompagnata da uno straordinario coro muliebre, che non si arrende alla perdita della figlia Beniamina, e Vincenzo Nemolato nel ruolo di un tombarolo guascone. Soprattutto si libra come un uccello Carol Duarte, l’attrice brasiliana già straordinaria ne La vita invisibile di Euridice Gusmao, che interpreta Italia, cantante “stonata” solo perché segue un suo spartito interiore. Questa compagnia di giro attraversa una storia picaresca e celestiale dove il celeste è il colore dominante (e celeste era il Corpo del film di esordio di Rohrwacher, dal quale ha ripescato Yle Vianello, che qui incarna Beniamina) ed è fatto di un cielo attraversato da quegli uccelli che trasformano noi spettatori in àuguri intenti a interpretare il loro volo. La chimera ha i colori delle fiabe e l’apparente scanzonatura degli stornelli, racconta la campagna senza accenno bucolico o velleità bohemienne, ipotizza un mondo gestito dalle donne senza farne una bandiera ideologica, scava nella terra e nell’inconscio, cerca di salvare l’anima dei suoi personaggi anche quando non è più possibile e fornisce loro prese d’aria anche quando non possono più esserci, alludendo a ciò che “non è fatto per gli occhi degli uomini” con il potere evocativo della poesia. Il film di Rohrwacher attraversa un’Italia nel processo di essere svenduta agli stranieri ma in cui due stranieri sembrano gli unici a volerne conservare il mistero, ci aiuta a “stimare l’inestimabile” e a rivendicare la tutela delle “cose che appartengono a tutti” perché la proprietà non deve essere necessariamente possesso. E il suo cinema si conferma contemporaneamente arcaico e postmoderno, nonché capace di inventare parabole agresti che presagiscono, come il migrare degli uccelli, la transizione verso il degrado a seguire.

 

Mymovies

Un domani si parlerà del “cinema di Alice Rohrwacher” come oggi facciamo riferendoci ai maestri che furono, racchiudendo in quel “il cinema di” l’idea di un universo iconico e riconoscibile, capace di suscitare rimandi non solamente “visivi” ma anche appigli inerenti gli altri sensi. Un cinema di terra e polvere, di natura e vuoto, popolato da personaggi fatti di carne e anima, sbilenchi ma veri, radicati eppure errabondi. Proprio come in Lazzaro felice – il suo precedente lungometraggio, al quale hanno fatto seguito i corti Omelia contadina, Quattro strade e il candidato all’Oscar Le pupille, con in mezzo il doc Futura, diretto insieme a Francesco Munzi e Pietro Marcello – ritornano in La chimera gli echi di una poetica cittiana e l’esplorazione fanciulla di un mondo, quello della Tuscia e delle lande tirreniche (location tra Tarquinia, Blera e il sud della Toscana) circondate da centrali elettriche che, ancora una volta, fanno da geografia filmica ad una storia che – direttamente o meno – fa parte dell’immaginario d’origine della regista nativa di Fiesole, in Toscana, ma cresciuta a Castel Giorgio, nella campagna umbra.

“Nel luogo in cui sono cresciuta capitava spesso di ascoltare storie di segreti ritrovamenti, di scavi clandestini e di avventure misteriose. Bastava restare in un bar la sera tardi, o fermarsi in una fraschetta di campagna per sentire di quel tale che col trattore aveva scoperchiato una tomba villanoviana, o dell’altro che scavando di notte vicino alla necropoli aveva rinvenuto una collana d’oro così lunga da poter circondare una casa, e dell’altro ancora che era divenuto ricco, in Svizzera, vendendo un vaso etrusco che aveva trovato nell’orto. Storie di scheletri e fantasmi, di fughe e di oscurità”. (…)

Alice Rohrwacher si interroga dunque su quella costante sospensione che tiene legate la vita e la morte, il presente e il passato, epoche remote ancora custodite in un sottosuolo che anziché essere protetto viene lasciato alla mercé del progresso (le fabbriche che sorgono sopra vari siti archeologici) e dei profanatori, piccoli predatori convinti di svoltare le proprie esistenze con quelle che considerano nulla più che anticaglie, in realtà prede di predatori ancora più famelici, i trafficanti d’arte nascosti dietro nomi mitologici ed eleganza ruffiana (Alba Rohrwacher). Ambientato negli anni ’80, il film (che riporta la regista di Corpo celeste e Le meraviglie in concorso a Cannes, sarà ancora una volta in palmares?) è sì incentrato sulle peripezie di questi tombaroli (che come ricorda il cantastorie Valentino Santagati altro non sono che “una goccia nel mare”) ma accarezza anche l’evoluzione del personaggio di Italia (Carol Duarte), altro personaggio (straniero) che arriva da chissà dove, aspirante cantante, di fatto serva di un’andante matrona (Isabella Rossellini, meravigliosa), contornata da innumerevoli figlie pettegole e materiali.

Nel passaggio dalla morte alla vita rientra anche una stazione dimenticata, quella di Riparbella (nella Val di Cecina) – “non è di nessuno, quindi è di tutti”, che proprio Italia finirà per trasformare in una sorta di comune femminista: ecco, se proprio bisogna trovare dei limiti a questa Chimera è nella discontinuità tra sospensione e dichiarato, tra la magica grana di un 35mm e il “fuoco” di immagini rubate da una 16mm amatoriale (decisiva, come sempre, la fotografia di Hélène Louvart) contrapposti a qualche flebile didascalia (la scenata della stessa Italia durante lo scavo notturno in riva al mare, dopo la festa contrappuntata dal Tango delle capinere…), ma anche qui siamo di fronte all’inevitabile discrasia che non può non manifestarsi laddove in ballo c’è la vita, che proprio “rubando” alla morte cerca in qualche modo di sopraffarla. Se Lazzaro felice raccontava dunque il passaggio tra il primo e il secondo medioevo, “tra un medioevo storico e un medioevo umano”, questa volta Alice Rohrwacher ragiona sul chimerico equilibrio che ogni giorno tentiamo di stabilire tra l’esistente e l’esistito, tra il visibile e l’invisibile. Fino a quando non riusciremo a rintracciare quel filo rosso che ci unisce per sempre. Con Gli uccelli di Battiato a sorvolare.

“Agli archeologi di tutto il mondo, custodi di ogni fine”.

Cinematografo