Perfect days

Wim Wenders

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Hirayama è un uomo che parla poco, umile ma sereno, che lavora come addetto alle pulizie dei bagni pubblici di Tokyo e vive in una piccola casa, circondato da piante, seguendo un'assidua e tranquilla routine che gli permette di coltivare le sue passioni: la musica, i libri, la fotografia e gli alberi. Il suo quartiere è pieno di piccoli caffè, frequentati sempre dalle stesse persone ogni giorno, di librerie, che vendono principalmente opere di Patricia Highsmith o romanzi di giovani scrittori giapponesi contemporanei. Hirayama preferisce recarsi a lavoro con il suo minivan, perfettamente equipaggiato di ogni attrezzo per pulire, mentre nelle sue orecchie risuonano i testi dei Rolling Stones, di Patti Smith o di Lou Reed. Attraverso quello che ascolta o legge e le foto che scatta, vengono rivelati la sua storia e il suo passato.
DATI TECNICI
Regia
Wim Wenders
Interpreti
Kôji Yakusho, Min Tanaka, Tokio Emoto, Aoi Yamada, SayurI Ishikawa, Arisa Nakano, Yumi Asô, Tomokazu Miura
Durata
124 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Takuma Takasaki, Wim Wenders
Fotografia
Franz Lustig
Montaggio
Toni Froschhammer
Musiche
Patrick Watson
Distribuzione
Lucky Red
Nazionalità
Giappone
Anno
2023

Presentazione e critica

Tokyo, oggi. Hirayama è un sessantenne giapponese che pulisce i bagni pubblici della città con attenzione meticolosa ai dettagli e dedizione certosina al suo lavoro. Ogni giorno segue la stessa routine: un’attenta pulizia personale prima e dopo quella dei bagni altrui, un’innaffiata alle piante che ha salvato dalla disattenzione cittadina, un panino al parco all’ora di pranzo. Lungo il suo percorso talvolta si ferma a osservare le piante che lo sovrastano scattando foto alle chiome, o fa uno spuntino presso qualche tavola calda. E ogni tanto fa qualche incontro: con Takashi, il ragazzo che rileva il turno pomeridiano di pulizia dei bagni, con una ragazza al parco, con un senzatetto scollato dalla realtà, con la proprietaria di un ristorante che gli riserva piccoli trattamenti di favore. E quando sale a bordo del suo furgone ascolta Lou Reed (con e senza i Velvet Underground) e Patti Smith, The Animals e Van Morrison, Otis Redding a Nina Simone, così come quando è a casa legge William Faulkner e Patricia Highsmith, ma anche la “sottovalutata” Aya Koda.

PERFECT DAYS racconta le “giornate perfette” di Hirayama come una quieta affermazione di dignità quotidiana. L’uomo svolge il suo lavoro con gesti precisi ed essenziali, accogliendo l’occasionale contatto umano (anche nella forma anonima di una partita a tris proposta su un foglietto) con generosità e rispetto. Tutto in lui è rimasto analogico, come le musicassette che ascolta o la macchina fotografica i cui rullini vanno fatti sviluppare, e le fotografie vengono collezionate in scatole numerate che archiviano la nostalgia del tempo che passa. Wim Wenders, in veste di regista e sceneggiatore (con Takuma Takasaki), mette a frutto la sua grande familiarità con il documentario per creare un film di finzione che segue le giornate del suo protagonista come una camera nascosta, e poi però racconta i sogni di Hirayama come un’elaborazione artistica del giorno appena vissuto.

La concezione architettonica di Wenders incastona la figura umana in spazi ben squadrati e confinanti (a cominciare dal formato 4:3 che ad un certo punto diventa quello ancora più ristretto dell’inquadratura da cellulare), e in una Tokyo in cui il sole sorge (non a caso siamo nel Paese del Sol Levante”) accompagnato dalla canzone perfetta (The House of the Rising Sun). La fotografia nitida e precisa di Franz Lustig accompagna il ritratto della serena e composta solitudine di un uomo che sa di appartenere ad un’altra epoca e che ha fatto pace con i suoi errori del passato. Koji Yakuso, che alcuni ricorderanno in Babel di Alejandro Inarritu ma anche ne Il terzo omicidio di Hirokazu Kore’eda o The Eel di Imamura Shohei, è lo straordinario interprete di questo film quasi muto che si snoda in purezza attraverso uno sguardo contemplativo ma mai artefatto. Il suo Hirayama è il baluardo di un passato recente che è già modernariato, e conserva un afflato poetico persino attraverso il lavaggio di bagni frequentati da persone per cui è invisibile. Hirayama continua la sua metodica affermazione di sé all’interno di un universo per molti versi indifferente, consapevole che “il mondo è fatto di molti mondi” e solo alcuni sono connessi, ricordandoci che esiste un “ora” che va rispettato in quanto tale senza correre dietro al futuro, perché “il futuro succederà la prossima volta”.

 

Mymovies

Dalla toilette all’eternità. Vincitore della Palma d’oro per Paris, Texas nel 1984, per la miglior regia nel 1987 per Il cielo sopra Berlino e del Gran Premio della giuria nel 1993 per Così lontano così vicino, il tedesco Wim Wenders porta il sesto film in Selezione Ufficiale a Cannes, Perfect Days, bissando il documentario stereoscopico Anselm sull’artista Kiefer. L’affezione di Wenders per il Giappone è notoria, il film cult del 1985 Tokyo-Ga, il successivo peana filmato allo stilista Yohji Yamamoto, la predilezione per Yasujiro Ozu parimenti: “Abbiamo girato Perfect Days sessant’anni anni dopo che Ozu aveva realizzato il suo ultimo film, Il gusto del sakè, a Tokyo. E non è un caso che il nome del nostro eroe sia Hirayama…”. Una vita semplice, una routine quotidiana molto strutturata da mane a sera, la passione per la musica (Otis Redding, Patti Smith, Van Morrison che ascoltiamo in musicassetta), i libri e gli alberi che fotografa, i gabinetti che meticolosamente – l’inizio senza guanti è temibile – rende immacolati. La nipote carinissima, la sorella estraniata, alcuni incontri ci rivelano un po’ di più del suo passato, ma il suo segreto è il presente, votato alla ricerca e alla cura della bellezza nel quotidiano.

Minimalista e trascendente, paratattico e iterato, i dialoghi ridotti e l’empatia amplificata, Wenders ripassa devoto la lezione di Ozu e si ritrova ai vertici della propria arte, levando la camera, innalzando lo sguardo dalla toilette agli alberi fino al cielo. E lo fa con un uomo apparentemente senza qualità, confinato in un impiego umile, ma quasi miracolosamente, perfino icasticamente destinato a incarnare servizio e bene pubblico, soddisfazione personale ed esternalità positive e, viceversa, soddisfazione pubblica e beneficio personale. Un’epifania poetica, un atto politico. Sono i suoi – e sperabilmente possono essere i nostri – giorni perfetti, in cui ridere e piangere al volante, inseguire le ombre con un malato terminale, regalare un libro alla nipote, andare spedito e fiducioso verso il sole.

C’è conciliazione ma non rassicurazione, c’è contemplazione ma non decantazione, c’è in Perfect Days un retaggio che dice del qui e ora, e dunque forse dell’eterno: è un film di piccole cose e grandi speranze, è un film che pulisce i cessi ma che non smetteresti mai di guardare.

 

 

Cinematografo

(…) È ancora un cinema on the road che svela il personaggio attraverso il viaggio, anche è quello della metropoli con cui condivide i ritmi, i rumori, gli umori. In Perfect Days c’è un documentarismo soggettivo, con tracce del cinema muto (dall’alba alla notte come Berlino, sinfonia di una grande città di Walter Ruttmann), con le inquadrature dall’alto, le luci del traffico, la pioggia. Il protagonista è spesso accompagnato solo dalla musica. “Sometimes fills so happy/Sometimes fills so sad” proprio come nel brano Pale Blue Eyes dei Velvet Underground. Forse i giorni sono tutti perfetti (ancora Lou Reed con il brano che dà il titolo al film), forse no. Ma al tempo stesso c’è anche la necessità nel suo cinema di un altro viaggio nella città giapponese dopo Tokyo-Ga. Certo, per ritrovare Ozu, ma non solo. Forse è da lì che riparte il suo cinema del passato. Forse lo sguardo sereno di Hirayama è lo stesso, oggi, di quello di Wenders. Che riguarda la bellezza del suo passato, quindi del suo cinema, senza rimpianti. Si, a Tokyo ci si vuole perdere proprio come nel confine tra Messico e Stati Uniti di Paris, Texas. Non ci sono risvegli, solo incontri. Alcuni sono con le stesse persone come il giovane che lavora con lui e lo vuole coinvolgere nella sua caotica vita sentimentale. Altri sono invece casuali. Altri, infine, solo per un periodo di tempo brevissimo, come tutta la parte magnifica con la nipote dove emerge uno dei dialoghi più divertenti del film quando lei gli parla di Spotify e lui le chiede dove si trova questo negozio con quel nome oppure uno dei momenti di spontanea condivisione quando la ragazza vuole andare con lui al lavoro.

A sei anni da Submergence, il suo ultimo titolo di finzione, Wenders torna con un film dove dentro c’è tutto il suo cinema migliore che scopre i luoghi attraverso i suoi personaggi, si sofferma sulle prospettive della città ma, in Perfect Days, anche su quelle dei bagni pubblici mettendone in luce anche la bellezza architettonica. Come nel caso di Kaurismäki, è un cinema fatto di attese, di estasi della lentezza, di rivelazioni in un percorso che può essere simile a se stesso e invece scopre ogni volta qualcosa di nuovo. Se negli ultimi anni il cinema di Wenders ci aveva emozionato solo in alcuni momenti, stavolta in Perfect Days lo ha fatto per tutto il film. E anche adesso continua a starci in testa e non ce ne vogliamo liberare.

 

 

Sentieriselvaggi