To kill a mongolian horse

Xiaoxuan Jiang

Image
Tra le steppe invernali, Saina, un cavaliere mongolo e performer, di giorno si occupa del suo ranch, di notte si esibisce per il pubblico. A differenza del regale cavaliere che interpreta nello spettacolo, nella realtà quotidiana, Saina scopre che la sua vita da mandriano è sull’orlo di un baratro.
DATI TECNICI
Regia
Xiaoxuan Jiang
Interpreti
Saina, Undus, Qilemuge, Tonggalag, Qinartu
Durata
98 min.
Genere
Drammatico
Sceneggiatura
Xiaoxuan Jiang Fotografia: Tao Qiu
Fotografia
Tao Qiu
Montaggio
Zhong Zheng
Musiche
Unur
Nazionalità
Malesia, USA, Hong Kong, Corea del Sud, Giappone
Anno
2024

Presentazione e critica

Xiaoxuan Jiang è una scrittrice e regista nata nella Mongolia Interna, regione autonoma della Cina. Si è laureata in Cinema e TV alla Tisch School of the Arts presso la New York University. Il suo cortometraggio Graveyard of Horses è stato selezionato in numerosi festival e ha vinto il NETPAC Award al Busan International Short Film Festival, il Grand Prix Award all’Hiroshima International Film Festival e il Best Student International Short al Denver Film Festival. Il suo primo lungometraggio, To Kill a Mongolian Horse, è stato sostenuto dal Sundance Ignite e ha ricevuto il fondo per lo sviluppo della sceneggiatura dall’Asian Cinema Fund (ACF) del BIFF, il premio VIPO, il premio Sørfond all’Asian Project Market (APM) e il Whitelight Post-production Award all’HAF.

Giornatedegliautori.com

Tra le steppe invernali, Saina, un cavaliere mongolo e performer, di giorno si occupa del suo ranch, di notte si esibisce per il pubblico. A differenza del regale cavaliere che interpreta nello spettacolo, nella realtà quotidiana, Saina scopre che la sua vita da mandriano è sull’orlo di un baratro.
Carico di un forte senso crepuscolare, il ritratto di un mondo al tramonto, quello dei mandriani delle steppe della Mongolia, è fornito da To Kill a Mongolian Horse, esordio al lungometraggio per la filmmaker mongola Xiaoxuan Jiang, presentato in concorso alle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema 2024. Il film è incentrato sulla figura di Saina, un vero mandriano cui la regista ha chiesto di interpretare sé stesso raccontando le sue vicissitudini. Sono tanti i motivi che stanno portando al capolinea l’habitat di quest’uomo, non si tratta solo del riscaldamento globale, ma anche dello sviluppo di un turismo cinese becero e invasivo e di attività estrattive che metteranno sottosopra il territorio. I mandriani ricordano quelle grandi nevicate che tingevano di bianco la steppa, che ormai non ci sono più. Anche i bambini nel parco giochi si lamentano per il caldo. Saina ha già trovato un lavoro part time in una specie di circo, considerando la crisi della sua attività per la quale cerca di vendere pecore e cavalli. Si tratta di una sorta di nouveau cirque, fatto di spettacoli coloratissimi, di scenografie e luci sgargianti, di costumi e vessilli appariscenti. Quello che appare come una magnificenza etnografica è in realtà la svendita di una cultura, edulcorata e agghindata. Xiaoxuan Jiang gioca sul contrasto fotografico tra quello splendore scenografico e i veri colori della steppa, le immense distese brulle, gli spazi sconfinati, attraversati da pecore o cavalli al brado, tagliati da lunghissime stradine dritte. Per rappresentare quell’antico mondo al tramonto il film fa largo uso di campi lunghissimi, anche nella lunga ripresa da un drone diegetico, un occhio mostrato prima del suo sguardo. Ulteriore paesaggio che si profila è quello preannunciato dalle gru, quello di immense cave a cielo aperto.

Oltre a più registri fotografici, Xiaoxuan Jiang fa uso di un bilinguismo, pure schematico, mongolo-cinese, ben demarcato anche da sottotitoli di colore diverso, bianco per il mongolo e giallo per il cinese. Sono in questa seconda lingua tutti i momenti di intrusione o che preludono a un’annessione, quelli del circo, quelli con i turisti. Anche la lingua autoctona è un qualcosa che non è favorito dalle autorità di Pechino. A scuola si insegna il cinese e l’inglese. E quando il protagonista si propone per essere preso in una scuola d’equitazione, gli viene risposto che loro insegnano solo lo stile inglese. I turisti cinesi pretendono che gli autoctoni rispondano a degli stereotipi, vogliono sentirli cantare canzoni tradizionali per esempio. In una scena di una cena si rivelano come arroganti e maleducati. Alla fine i due personaggi troveranno lavoro l’uno alla guida di un escavatore, che – dice – gli ricorderà di essere in sella a un cavallo, l’altro in un sito turistico. Xiaoxuan Jiang chiude il film con la malinconica immagine del protagonista a cavallo in mezzo al traffico automobilistico in una strada cittadina, che contrasta con lo spirito di libertà dei cavalli mongoli, dei cavalli bianchi al brado. Al suo primo lungo, Xiaoxuan Jiang riesce a trasmettere questo senso di tristezza, di tramonto ineluttabile di una civiltà tradizionale, superando lo schematismo con un lavoro sulla fotografia, con le immagini.

Info

Quinlan